Ungaretti

Giuseppe Prezzolini traccia un breve ma incisivo ritratto del poeta Giuseppe Ungaretti all'indomani della sua morte

2 giugno 1970: Ungaretti entrò nella morte ieri. Oggi sa se si vive al di là. O non sa più nulla. Ebbe una vita invidiabile, per chiunque conosca la vita. Ossia, dura al principio e tenera alla fine.

Da giovane, povero; non ricco poi, ma sempre bastantemente fornito; volontario, semplice soldato sempre, per tutta la guerra del 15-18, vi scrisse le sue più vere e sentite liriche, rinnovatrici; poi appoggiato da qualche potente passò la media età insegnando; per imposizione di Bottai ministro fascista, Mussolini approvante, fu professore universitario, alla fine accettato da universitari, con qualche contrasto di pedanti e di faziosi e, mi dicono, con un solo voto di maggioranza.

Fu prima stampato in ottanta copie e probabilmente sopra ottomila finì. Ebbe la gloria, poi del denaro e tutta la vita fu innamorato. Ebbe una prefazione di Mussolini ai suoi primi poemi, che poi nascose, col variar dei tempi, come un altro grande poeta, Salvatore di Giacomo, fece con la dedica dei propri a Benedetto Croce. Diritto d’ingratitudine dei poeti.

Creatore, inventore, viaggiatore, estroverso godeva negli ultimi anni della popolarità delle sue letture di versi, dove dominava con il fulgore dei suoi occhi vichinghi, con i ruggiti delle sue parole, con le maschere giapponesi del suo viso gattesco e insomma con la sua vitalità che pareva inesauribile. Fu il poeta della mia generazione, il nostro dono all’Italia. Alcune delle sue liriche, scritte sull’Isonzo, giacquero per anni tra le mie carte, da lui dimenticate, finché non gliele rivelai; ed ora fan testo nelle scuole.

[Dal «Borghese»]

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