Intellettuali in ginocchio: l’inno servile di Scurati a Draghi

Quando i Grandi Giornali Pubblicano Ode al Potere: Il Caso Scurati-Draghi

Due anni fa, Antonio Scurati ha pubblicato sul Corriere un articolo intitolato “CARO PRESIDENTE, ECCO PERCHÉ NON DEVE MOLLARE”, indirizzato a Mario Draghi. Scurati invita Draghi a “umiliarsi” e a continuare il suo ruolo politico nonostante la “misera morale” dei politicanti. L’articolo sottolinea i successi straordinari di Draghi e si chiude con un aneddoto su Talleyrand per criticare i parlamentari italiani. Un commento sul testo rivela che, se inizialmente sembrava sarcastico, diventa chiaro che è stato scritto con serietà mortale. Viene paragonato alla prosa dei giornali fascisti, lodando Draghi in modo imbarazzante. Il problema non è Draghi, ma l’intellettuale che si piega in servilismo verso il potere e il giornale che lo pubblica. Questo fenomeno riflette il collasso dell’intellighenzia e la loro complicità nel mantenere le masse obbedienti, mostrando un segno dei tempi e l’erosione critica nello spazio pubblico.

* * *

Riprendo un breve testo che ho scritto di due anni fa (maggio 2022) e che può tornare utile rileggere oggi.

Due giorni fa lo scrittore e docente allo IULM Antonio Scurati ha prodotto sul Corriere un articolo dal titolo:
«CARO PRESIDENTE, ECCO PERCHÉ NON DEVE MOLLARE»
Seguono alcuni estratti dal testo:

“Esimio Presidente Draghi, mi scuso in anticipo di queste mie parole. Le sto, infatti, scrivendo per chiederle di umiliarsi.

(…)

Scendere a patti con la misera morale che spesso, troppo spesso, accompagna la condizione umana dei politicanti è mortificante per chiunque. Eppure, sicuro di interpretare il sentire di moltissimi italiani, è proprio questo che le chiedo di fare.
Qualunque cosa si voglia pensare di lei, non si può negare che la sua sia la storia di un uomo di straordinario successo. Durante tutta la sua vita, lei ha bruciato le tappe di una carriera formidabile. Prima da Governatore della Banca d’Italia e poi da Presidente della Banca centrale europea, lei ha retto le sorti di una nazione e di un continente; le ha tenute in pugno con il piglio del dominatore, sorretto da una potente competenza, baciato dal successo, guadagnando una levatura internazionale, un prestigio globale, un posto di tutto rispetto nei libri di storia. Ha conosciuto il potere, quello vero, ha conosciuto la fama degli uomini illustri, la vertiginosa responsabilità di chi, da vette inarrivabili, decide quasi da solo della vita dei molti.

(…)

[L’articolo di Scurati si chiude infine con un apologo:]

Si racconta che un giorno un funzionario disonesto sia stato trascinato al cospetto di Talleyrand. Pare che il piccolo uomo, per giustificare le sue malefatte, abbia detto: «Eccellenza, si deve pur campare». Si racconta che il grande uomo, pari di Francia, lo abbia fulminato con queste parole: «Non ne vedo la necessità».
Ebbene, è la sola giustificazione che molti dei parlamentari italiani responsabili della attuale crisi potrebbero addurre.
È la sola risposta che noi dovremmo opporre.”

* * *

Ora, è difficile, davvero difficile commentare un testo del genere.

Ad una prima lettura pensavo fosse un testo sarcastico, sul filo dell’ironia. Ma poi non ho potuto evitare l’agghiacciante consapevolezza che quel testo è stato inteso con mortale serietà, fino all’epilogo in cui Scurati utilizza Talleyrand (“pari di Francia” – mica cazzi), per dire che i “piccoli uomini” che di volta in volta si oppongono al disegno del “grande uomo” possono pure crepare.

L’ultima volta che avevo letto un testo con accenti simili era nell’antologia letteraria delle superiori, dove stava ad esemplificare la prosa untuosa dei giornali durante il regime fascista, volta a glorificare LVI “che ci guarda e giudica con il suo occhio infallibile.”

Qui LVI si abbassa a “scendere” in politica, e gli viene chiesto di “umiliarsi” a fare ancora il presidente del consiglio, come nella sua infinita benevolenza aveva inizialmente accettato, nonostante la sua natura superiore dove si staglia il “piglio del dominatore”, la “potente competenza”, “baciata dal successo” che ha già prenotato un capitolo de luxe nei libri di storia.

Naturalmente davanti a una cosa del genere chiunque sappia leggere l’italiano e non sia un perfetto imbecille non può che scoppiare a ridere. E’ roba che avrebbe messo in imbarazzo Diocleziano, e che francamente credo metta in imbarazzo persino Draghi.

Ma per una volta il problema qui non è Draghi.

No, il problema è che qualcuno che viene gabellato dal mainstream per un intellettuale non abbia remore a prodursi in uno spettacolare slancio di servilismo cortigiano carpiato nei confronti di un uomo di potere, e che un grande giornale nazionale pensi sia normale pubblicarlo.

Questo fatto da solo spegne ogni sorriso.

Già perché questo standard di asservimento perinde ac cadaver da parte di persone che non hanno bisogno “per campare” di fare nulla del genere è l’espressione di un collasso epocale: il collasso di quel ceto intellettuale la cui unica sensata funzione nello spazio pubblico dovrebbe essere la difesa e promozione di un diffuso senso critico, e che invece è oramai solo un megafono coronato d’alloro.

Non illudiamoci che questo fatto rimanga racchiuso nella sfera delle piccole impudicizie dell’intellighentsia.

No, questi fatti sono un segno dei tempi, il segno che lo spazio di ciò che fu l’informazione e l’elaborazione critica è oramai uno spazio mercenario di addestramento pubblico, uno spazio dove le masse devono essere addestrate all’obbedienza giacché anche solo immaginare che vi possa essere un’alternativa è blasfemo.

Sono testi del genere che spiegano, con mirabile dono di sintesi, l’oceano debordante di menzogne che ci ha investito negli ultimi due anni, dalle strategie pandemiche made in Pfizer agli Uruk-hai russi.

Perché una tale infinita batteria di palle incatenate regga il fuoco, come in ogni fronte di guerra ci vuole una solida retrovia di carristi e artiglieri, distribuiti nei posti strategici. E il fatto che intellettuali sedicenti indipendenti si trovino con assoluta naturalezza in quelle retrovie mostra la compromissione terminale di un intero ceto, compromissione i cui danni continueremo a subire per anni.

Andrea Zhok

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