Paolo Mieli

Aggressore e aggredito

Se gli storici della Seconda Repubblica saranno tutti come Paolo Mieli, le future generazioni crederanno che per “trent’anni (e passa) dall’inizio di Tangentopoli” l’Italia sia stata dilaniata da una “arroventata tenzone tra Politica e Giustizia”, finita “con la Politica a brandelli”.

di Marco Travaglio

Se gli storici della Seconda Repubblica saranno tutti come Paolo Mieli, le future generazioni crederanno che per “trent’anni (e passa) dall’inizio di Tangentopoli” l’Italia sia stata dilaniata da una “arroventata tenzone tra Politica e Giustizia”, finita “con la Politica a brandelli”. Lo “storico” Mieli, bontà sua, ammette sul Corriere che le indagini su Santanchè, Delmastro e La Russa jr. sono “slegate l’una dall’altra”, ma aggiunge uno scenario fantasy: “Spuntano da ogni dove nuovi magistrati che, resi baldanzosi, si applicano alla messa sotto torchio di altri esponenti della maggioranza” (senza spiegare chi siano questi nuovi pm e questi altri torchiati). Poi, trascurando la sacra distinzione fra aggressore e aggredito, accusa le toghe di aver impedito per 30 anni la mitica “riforma complessiva della giustizia” e sollecita Nordio a sfornarla immantinente perché è “stimato dai più” (sic).

Gli dà manforte il solito Violante che, sotto i bombardamenti governativi sui magistrati che fanno il loro dovere (indagare su notizie di reato, tipo i segreti spifferati da Delmastro e i pasticci finanziari della Santanchè, o sulla denuncia di una ragazza che si dice stuprata dal figlio di La Russa), trova che “oggi i problemi più urgenti sono posti da atteggiamenti non congrui dell’Anm”, rea di fare il suo dovere: difendere i magistrati bombardati. La solita lagna: “Decenni di conflitti” fra magistratura e politica, che avrebbe “rinunciato alla propria sovranità”. Ci vorrebbe mezza Treccani per smentire, prove alla mano, questo cumulo di balle e frasi fatte. Ma basta l’essenziale.

1) Non è mai esistito alcun conflitto fra politica e giustizia: esistono da 30 anni (e passa) magistrati (pochi) che indagano su politici delinquenti (molti), i quali tentano di farla franca diffamandoli, minacciandoli e cambiando le regole dei processi in corsa.

2) La magistratura non ha mai impedito alcuna riforma: dal 1992 a oggi se ne contano oltre 130 e quasi tutte (a parte il “giudice unico” dell’Ulivo e la Spazzacorrotti di Bonafede) hanno peggiorato le cose. Non per caso, ma per scelta. L’ultima è la Cartabia: una micidiale cluster bomb che, con un colpo solo, fa danni dappertutto. Quindi la politica non deve riprendersi alcuna sovranità perduta. Se volesse migliorare la giustizia, dovrebbe cancellare 30 anni di schiforme ed evitarne di nuove. Ma vuole peggiorarla vieppiù, ergo continua a schiformarla.

3) Se il governo non gradisce noie giudiziarie (i cosiddetti “conflitti fra politica e magistratura”), ha solo due strade: o la smette di nominare e di tenersi personaggi indagati, o chiacchierati, o in conflitto d’interessi, o in pessimi rapporti col Codice penale; o fa un decreto di un solo articolo con la lista dei soggetti che è vietato processare.

Il Fatto Quotidiano, 11 luglio 2023

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