Putin è forte grazie a noi

Elena Basile offre una riflessione profonda e critica sull'ascesa al potere di Putin e sul ruolo che l'Occidente ha giocato in questa dinamica.

Elena Basile, nel suo articolo per Il Fatto Quotidiano, offre una riflessione profonda e critica sull’ascesa al potere di Putin e sul ruolo che l’Occidente ha giocato in questa dinamica. Basile argomenta che la strategia occidentale di espansione della NATO verso i confini russi, prevista come problematica già nel 1997 da George Kennan, ha alimentato tensioni che hanno ostacolato la democratizzazione russa, creando invece le condizioni per un’autorità centralizzata intorno alla figura di Putin. L’autrice mette in evidenza l’ipocrisia percepita nella politica estera occidentale, che critica le elezioni russe per poi lodare leader controversi altrove. Basile sottolinea come, a dispetto della narrativa di una Russia sotto il controllo unico di Putin, esistano in realtà diversi centri di potere. Tuttavia, la percezione di un’aggressione NATO ha rafforzato il supporto popolare a Putin. L’articolo critica anche la retorica bellicista e le proposte di intervento militare, suggerendo invece una ripresa della diplomazia con focus sulla neutralità dell’Ucraina e una nuova architettura di sicurezza europea. Basile avverte dei rischi di una guerra protratta, del potenziale coinvolgimento di altre nazioni e delle catastrofiche conseguenze di un’escalation nucleare, invitando a una riflessione sui costi umani e strategici di una persistente ostilità verso la Russia.

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di Elena Basile

Il plebiscito di voti per Putin è stato salutato con commenti prevedibili quanto balordi. A me sembrerebbe chiaro che Putin è una creatura dell’Occidente. George Kennan, colui che con la strategia del contenimento ha di fatto impedito lo scoppio della guerra con l’Urss, previde l’involuzione autoritaria della Russia nel lontano 1997. La scelta di allargare la Nato fino ai confini della Russia, nelle parole del grande stratega, oltre a rendere inevitabile una nuova cortina di ferro, avrebbe cancellato i sogni di democratizzazione della Russia.

È divertente notare come penne brillanti, dopo aver descritto nei termini peggiori le elezioni in Russia, truccate, con una opposizione coraggiosa che è scesa in piazza e, strano, non è stata trucidata (accadeva anche durante il fascismo in Italia), ed essersi soffermati sull’uomo di apparato bassino dagli occhi gelidi, ci raccontano enfaticamente i successi della coppia Von der Leyen-Meloni in Egitto con Al Sisi, uomo alto e bruno, emblema della democrazia sperimentata da un giovane studente, Giulio Regeni, nome ormai archiviato. Il male ha diverse dimensioni. Continua anche nelle menzogne senza ritegno che non analizzano, ma spingono all’odio.

La Russia è secondo le analisi più serie, quelle per esempio di Sergio Romano, storico e ambasciatore a Mosca, una democratura nella quale non regna una sola persona, ma esistono centri di governo diversi e a volte conflittuali. Senza dubbio la guerra ha accentrato il potere. La percezione, non tanto infondata, che il Paese sia sotto attacco della Nato ha naturalmente fatto stringere la popolazione intorno a Putin. È ovvio che conformismo sociale e voglia di appartenere al branco abbiano aiutato l’elettore soldato. Purtroppo ne sappiamo qualcosa nelle nostre democrazie, nelle quali vota ormai una minoranza e coloro che si astengono non si esprimono per timore di non essere parte della maggioranza, non partecipano e considerano la politica un mero esercizio di potere. Questo tuttavia non spaventa coloro che sembrano concentrati sulla mancanza di democrazia a Mosca. Le fughe in avanti di Macron sulla necessità di truppe Nato in Ucraina sono conseguenti, a mio avviso, con le affermazioni tipo “non ci sarà pace se non con una sconfitta della Russia che deve ritirarsi da tutti i territori, anche dalla Crimea”. Slogan che è appartenuto alla Meloni e ai governi europei. Il presidente francese è ondivago, in quanto era colui che parlava di non umiliare la Russia e di una architettura di pace che ci avrebbe permesso di convivere con Mosca. La sua “insostenibile leggerezza dell’essere” gli fa cambiare opinione a seconda dei sondaggi elettorali. Eppure, se è un sollievo ascoltare Tajani che afferma di essere contrario ai boots on the ground che porterebbero alla terza guerra mondiale, siamo costretti a spiegargli che la logica darebbe ragione a Macron. Se si vuole sconfiggere Mosca, la Nato deve fare sul serio e, come suggerisce qualche diplomatico in pensione, rischiare la guerra nucleare.

Il cittadino pensante (e fortunatamente ce ne sono molti) vorrebbe che la diplomazia riprendesse la parola concedendo in primo luogo la neutralità all’Ucraina per poi avviare negoziati che dovrebbero pervenire a una ricomposizione degli interessi opposti in gioco. Il ritiro russo dai territori occupati sarebbe concepibile soltanto nell’ambito di una nuova architettura di sicurezza, con forti autonomie alle regioni russofone, caduta delle sanzioni e fine della guerra ideologica e dei tentativi di regime change dell’Occidente verso Mosca.

L’alternativa è una guerra che si protrae negli anni, con truppe Nato sul terreno, rischio di conflitto nucleare e allargamento degli scontri perché non è detto che Cina, Iran e alcuni Paesi africani non inviino truppe al fianco di Mosca.

Siamo già arrivati alla fine dell’Osce, dei sogni di una frontiera europea orientale stabile, alla fine della relazione speciale russo-tedesca e del modello di sviluppo economico basato sul gas a basso prezzo. I neoconservatori atlantici o fanno marcia indietro sulla base della razionalità e del bene comune, oppure continuano nella loro logica perversa di cui le affermazioni ma-croniane sono l’espressione più compiuta. La Russia considera la guerra della Nato una minaccia esistenziale, non si fermerà finché non giungerà a Odessa. Solo allora accetterà un armistizio coreano. Nel caso invece sia più debole e tema una vittoria Nato, non mancherà di ricorrere all’utilizzo dell’arma nucleare tattica. Vogliamo scoprire il bluff? E i giovani europei aspirano a essere una generazione sacrificata agli obiettivi irrazionali e poco strategici dei neoconservatori statunitensi che hanno già perso in Afghanistan, Iraq, Siria e Libia?

Il Fatto Quotidiano, 20 marzo 2024

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