Il fronte del Ni

I "riformisti" della Seconda Repubblica, incapaci di fare riforme vere, copiano le idee della destra e si oppongono ai referendum per paura di dover scegliere.

Tra le disgrazie della Seconda Repubblica, oltre ai danni del berlusconismo, c’è un piccolo ma influente gruppo di “riformisti” che, invece di fare riforme, lavora instancabilmente per evitare che l’opposizione faccia l’opposizione. A ogni scandalo, questi geni consigliano al centrosinistra di copiare le idee della destra, migliorandole un po’, così da votarle tutti insieme felici e contenti. E il risultato? Una serie di compromessi che non fanno altro che rafforzare la destra. Ora, questi esperti del nulla si oppongono ai prossimi referendum, terrorizzati dall’idea di un semplice Sì o No. Insomma, il loro unico talento è quello di svendere i principi fondamentali in cambio di qualche poltrona e onorificenza.

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di Marco Travaglio

Una delle peggiori sciagure della Seconda Repubblica, oltre al berlusconismo e ai suoi derivati di destra e di sinistra, è un minuscolo ma potente circoletto di “riformisti” per mancanza di riforme che si battono da 30 anni affinché l’opposizione non si opponga. A ogni porcata, spiegano al centrosinistra che “non va regalata alla destra”. Cioè va copiata e “migliorata” per votarla tutti insieme appassionatamente: “non basta dire No”, anzi “non si può dire sempre No”. Meglio Sì, così i padroni son contenti. Il risultato sono gli inciuci dalemiani, veltroniani, violantiani, napolitaniani, montiani, lettiani, renziani, e draghiani: tutti elisir di lunga vita per la destra. Gli elettori, fra l’originale e la brutta copia, scelgono sempre il primo. Ora questa compagnia della buona morte (ma solo per il centrosinistra), terrorizzata dallo scontro politico e sociale che è l’essenza della democrazia, si batte per scongiurare i prossimi referendum: quelli costituzionali su premierato e separazione delle carriere, e quello abrogativo sull’Autonomia. I referendum parlano la lingua evangelica Sì/No che sgomenta i “riformisti”, abituati al Ni e a considerare trattabili anche i principi fondamentali: i più furbi in cambio di poltrone, incarichi, consulenze, programmi Rai, medagliette e pennacchi da tutti i regimi; i più fessi gratis.

Stefano Folli si sgola su Rep perché il Pd proponga “punti di convergenza sul premierato” tornando alle sciagure del passato, ma anche il “cancellierato alla tedesca” e il “doppio turno alla francese” (sul web gli fanno notare che s’è scordato il bacio alla francese, il colletto alla coreana, i saltimbocca alla romana, i carciofi alla giudia, l’insalata russa e il cesso alla turca). Polito El Drito, che s’è incaricato di migliorare con la sola forza del pensiero la destra meloniana (ma Giorgia è già il “cigno per l’Europa del futuro”), vorrebbe un’opposizione che le migliori le schiforme. Violante al passo di Leonardo e Veltroni invitano al “dialogo”. Mieli deplora “l’opposizione senza controproposte su niente”: se le tre destre approvano tre disastri – premierato, autonomia e separazione delle carriere – è colpa di Pd e M5S che non propongono metà o tre quarti di ciascuno. Il modello è l’inciuciador Ceccanti: “Meglio proporre delle mediazioni su premierato e autonomia che pensare solo al referendum”. E certo: se le opposizioni avessero proposto le famose mediazioni, la destra che ha bocciato tutti i loro emendamenti le avrebbe approvate subito. Ora però Conte e Schlein potrebbero suggerire un premier eletto ma solo un po’, una volta sì e una no; la separazione dei giudici dai pm, ma non dei pm dai giudici; e un’autonomia a Regioni alterne: una differenziata e l’altra indifferenziata, tipo nettezza urbana.

Il Fatto Quotidiano, 22 giugno 2024

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