Meloni&Schlein

Elly detta Silvio

Il Pd vuole modificare la par condicio per facilitare un confronto Meloni-Schlein, ignorando l'equità elettorale. Meloni sorprendentemente rifiuta.

Il Pd, dopo aver promosso la legge sulla par condicio nel 2000, ora cerca di modificarla per facilitare un confronto televisivo tra Meloni e Schlein, ignorando l’equità elettorale. Meloni, sorprendentemente, rifiuta questo escamotage, mentre il Pd propone una “manutenzione” delle regole per favorire i due principali partiti a discapito dei più piccoli.

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di Marco Travaglio

Parlare di rispetto delle regole in un Paese dove la premier accoglie all’aeroporto un assassino condannato all’ergastolo come un eroe non è solo assurdo: è anche inutile. Ma adoriamo le missioni impossibili. E ancor più i paradossi. Tipo quello del Pd che, dopo aver voluto nel 2000 la legge sulla par condicio per garantire parità di accesso in tv a chi si candida alle elezioni, ora vuole “riformarla” perché l’Agcom che ne sanziona le violazioni ha impedito a Meloni&Schlein di violarla. O tipo quello della Schlein che tuona un giorno sì e l’altro pure contro TeleMeloni (la Rai spartita tuttora fifty fifty fra destre e Pd), organizza sit-in indignati e poi si apparecchia un tête-à-tête con la Meloni a Porta a Porta, cuore di TeleMeloni. Ma i paradossi sono come le ciliegie: uno tira l’altro. Infatti – informa il Messaggero– il “quartier generale del Nazareno” ha pronta un’altra “mossa per aggirare la scure della par condicio (sic, ndr) e provare a salvare in extremis il duello Meloni-Schlein. Come? Spostando l’arena dalla tv a un territorio neutro, immune dai paletti dell’Agcom e dai veti dei leader esclusi: le pagine Instagram e Facebook delle due comandanti in capo”, dette anche “le due timoniere”, per un bel “duello 3.0” (cioè un gioco delle tre carte). Ma, paradosso nel paradosso, a rifiutare quel trucchetto da magliari è proprio la Meloni, cioè l’erede del berlusconismo che s’è sempre opposto alla par condicio.

Non potendola aggirare con la truffa telematica, non resta che cambiare la legge. Lo dice a Repubblica Stefano Graziano, deputato dem in Vigilanza: “Serve un lavoro di aggiornamento della par condicio, una manutenzione per rendere le regole più smart”. Quali regole smart? “Un po’ meno veti e un po’ più servizi per i cittadini”. Quali servizi per i cittadini? “Il dibattito fra la presidente del Consiglio e la leader del principale partito di opposizione”. Cioè un servizietto per far credere ai gonzi che le elezioni non siano una corsa fra tante liste alla pari in cui vince chi decidono gli elettori, ma una partita a due tra FdI e Pd (almeno finché il Pd sarà secondo nei sondaggi). Lo spiega la stessa Repubblica (che, altro spassosissimo paradosso, è spalmata da giorni sulla linea Vespa), testuale: non si può “consentire al capo di un movimento del 3% di impedire a chi guida i primi due partiti di confrontarsi in diretta”. Par di sentire B. che nel 2013 tuonò scandalizzato: “Con la par condicio in tv i piccoli partiti avranno lo stesso spazio di quelli grandi!”. C’è voluto del tempo, ma ora ci è arrivato anche il Pd. Quindi chi nei sondaggi ha il 3% (come FdI sei anni fa) non potrà mai salire, perché la riforma smart voluta dai due primi partiti daranno visibilità soltanto a loro. A Giorgia detta Giorgia e a Elly detta Silvio.

Il Fatto Quotidiano, 19 maggio 2024

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