Cosa resterà

L’unica certezza dell’ultima puntata del caso Almasri è che nessuno finirà a processo: non la Meloni, archiviata; non Nordio, Piantedosi e Mantovano, perché il Parlamento negherà l’autorizzazione a procedere.

di Marco Travaglio

L’unica certezza dell’ultima puntata del caso Almasri è che nessuno finirà a processo: non la Meloni, archiviata; non Nordio, Piantedosi e Mantovano, perché il Parlamento negherà l’autorizzazione a procedere. Dell’indagine non resterà nulla, a parte due cose: 1) la vergogna di un governo che scarcera un aguzzino senz’avere il coraggio di dire di essere ricattato dai libici; 2) le menzogne della destra per coprire tutto, miste a un’ignoranza crassa – alimentata dai media – sui doveri della magistratura. Dopo la denuncia di Li Gotti, i pm dovevano aprire il fascicolo. E, accertata la natura ministeriale dei reati, passarlo al Tribunale dei ministri. Che doveva indagare, valutando chi fece cosa e le funzioni dei singoli indagati. La Meloni gioca sul verbo “condividere” per deridere i giudici che archiviano lei e non i tre. Ma i giudici non dicono che non sapesse o dissentisse dai tre: parlano di “condivisione” nel senso di partecipazione attiva e funzionale alle scelte incriminate. Cioè la liberazione di Almasri dopo l’arresto su mandato di cattura della Cpi (favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio); e il suo rimpatrio su un aereo dei Servizi (peculato). Gli ordini di arresto internazionali e i voli di Stato non sono funzioni del premier, che per Costituzione “dirige la politica generale del governo”. Ogni ministro risponde delle proprie funzioni: se il premier o gli altri ministri sono d’accordo o meno con lui, è un fatto politico, non penale (sennò ogni reato ministeriale manderebbe alla sbarra l’intero governo).

Nel 2011, indagato per Ruby, B. si coprì di vergogna e di ridicolo per far dichiarare ministeriale la sua concussione al capogabinetto della Questura di Milano, cioè la telefonata per far rilasciare la marocchina spacciandola per nipote del presidente egiziano. Camera e Senato, con la mozione “Ruby nipote di Mubarak”, sollevarono conflitto di attribuzione alla Consulta, che rispose picche: dare ordini alle Questure è compito del ministro dell’Interno, non del premier. Un altro precedente lo cita a sproposito la Meloni: Salvini indagato per gli sbarchi negati a varie navi Ong nel governo Conte 1. Sulla Diciotti, Conte solidarizzò con lui fino ad autodenunciarsi con Di Maio e Toninelli: ma furono tutti e tre archiviati perché non era compito loro, ma del ministro dell’Interno, fornire alle navi il Pos per lo sbarco. Su Open Arms invece Salvini, subito dopo la crisi del Papeete, disobbedì a Conte, che non attese l’indagine per dissociarsi: lo fece in tempo reale con due lettere in cui gli ordinava di fare sbarcare almeno i fragili e i minori. Se Meloni avesse fatto lo stesso con Nordio, per tener dentro Almasri o almeno porre il segreto di Stato, avrebbe evitato l’ennesima figuraccia a se stessa e all’Italia.

Il Fatto Quotidiano, 6 agosto 2025

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