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Il bluff di Prigozhin. I russi potevano rovesciare Putin e non l’hanno fatto

Perché la classe dirigente e il popolo russo si sono compattati intorno a Putin anziché ferirlo a morte?

di Alessandro Orsini

Prigozhin ha minacciato di marciare su Mosca. La conclusione immediata dei media italiani è stata che Putin è debole, isolato e pronto per essere ammazzato. Su Libero di Alessandro Sallusti, sono volati insulti contro questa rubrica mentre il permalosissimo Enrico Mentana dava il peggio di sé su Twitter contro i pacifisti. In Italia va così: il progetto illuministico, che prevede di portare qualunque fatto o affermazione davanti al tribunale della ragione, è morto da tempo.

Nessuno mi fraintenda: tutto può accadere. Riconosco che Putin potrebbe essere assassinato. Ho sempre detto che la Nato in Ucraina rappresenta una minaccia esistenziale per la Russia. Tuttavia anche Biden potrebbe morire per mano di un concittadino come accaduto ad altri presidenti americani. Sostai per ore davanti alla Casa Bianca per vedere Obama uscire con la scorta. Che cosa impressi nel mio taccuino etnografico? Il convoglio che protegge il presidente americano è talmente impressionante che sembra concepito per attraversare una città sotto i bombardamenti. I miei occhi videro uno stuolo di limousine identiche dai vetri oscurati: soltanto una ospitava il presidente. Se un americano come Timothy McVeigh volesse uccidere il presidente rischierebbe di colpire l’auto sbagliata oltre a fronteggiare mezzo esercito. Sarebbe interessante comparare la scorta di Biden a Washington con quella di Putin a Mosca. Simili dettagli non vengono notati in Occidente perché, come insegnano Schütz e Garfinkel, l’uomo comune non mette il mondo tra parentesi nel senso che l’uomo medio, non diversamente da Corriere, Repubblica e Stampa, vive di pensieri non pensati. Questi quotidiani danno per scontato che i presidenti siano amati in democrazia e odiati in dittatura, ma questo è un pregiudizio che andrebbe sottoposto a verifica. Nella mia esperienza di ricercatore, ho trovato che i presidenti delle democrazie occidentali sono spesso odiati più di quelli delle dittature. Avendo una mentalità antiscientifica, Corriere, Repubblica e Stampa interpretano questa mia affermazione come un sostegno alle dittature, ma non è così. Io sostengo la mentalità scientifica che raggiunge il culmine nel pensiero contro-intuitivo.

Questa premessa mi conduce a Prigozhin. La sua insubordinazione – dicono i media dominanti – dimostra che Putin è debole, odiato e pronto per essere ammazzato. L’evidenza empirica conferma la tesi di Fontana e Mieli vari? Secondo gli studi scientifici, le rivoluzioni non avvengono per caso. Una delle condizioni necessarie è che al popolo o alla classe dirigente sia data un’occasione per rivoltarsi contro il dittatore. Basta una scintilla e tutto esplode. Ebbene, la ribellione di Prigozhin è stata un incendio che nessuno ha cercato di sfruttare per spodestare Putin, né il popolo è insorto contro di lui come accadde a Ben Alì nel dicembre 2010 in Tunisia, quando un commerciante si diede fuoco per protestare contro una multa: scintilla e poi rivoluzione.

Perché la classe dirigente e il popolo russo si sono compattati intorno a Putin anziché ferirlo a morte? Un’ipotesi – che nella scienza è una spiegazione provvisoria in attesa di verifica – è che, forse, i russi amano Putin più di quanto gli americani amino Biden e che la classe politico-militare russa sia compatta intorno a Putin. Sta alla scienza rispondere a una simile domanda, mica alla pancia di Crosetto. L’evidenza empirica mostra che i russi hanno rifiutato un’occasione d’oro per rovesciare Putin. I russi vogliono un presidente filo-russo e non un presidente filo-americano come Khodorkovsky.

Il Fatto Quotidiano, 27 giugno 2023

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