La Pace dipinta da Ambrogio Lorenzetti fra il 1338 e il 1339 nell'affresco del Buon Governo nel Palazzo Pubblico di Siena

La Pace senese

Nella complicata allegoria del Buon Governo — così ai nostri giorni è noto l’affresco che insieme all'altro attiguo del Cattivo Governo Ambrogio Lorenzetti dipinse nel Palazzo Pubblico di Siena fra il 1338 e il 1339 — spicca la figura della Pace.

PAROLE E IMMAGINI

a cura di Chiara Frugoni e Giuseppe Sergi

Nella complicata allegoria del Buon Governo — così ai nostri giorni è noto l’affresco che insieme all’altro attiguo del Cattivo Governo Ambrogio Lorenzetti dipinse nel Palazzo Pubblico di Siena fra il 1338 e il 1339 — spicca la figura della Pace. Ma questo titolo, Il Buono e il Cattivo Governo è settecentesco; prima, e basterà leggere i Commentari di Lorenzo Ghiberti, il ciclo si chiamava La Pace e la Guerra.

Famosissima figura dal corpo elegante (che traspare dalla fitta e sottile pieghettatura del bianco abito), la Pace tiene con le mani un ramoscello di ulivo, e ancora rami di ulivo le incoronano i biondi capelli. Sta semisdraiata su un molle cuscino, distinta per foggia e atteggiamento dalle altre Virtù che le stanno accanto, assai più composte e impettite; attraverso il suo stato di riposo vuol suggerire che essa è il frutto di una felice situazione politica.

A rendere però inquietante, almeno in apparenza, il messaggio, vediamo che un cumulo di armi fa da sgabello alla Pace e altre armi sono ancora distese sotto al cuscino. Sua compagna è Fortitudo (la Fortezza), con mazza e scudo, a richiamare una vigile fermezza; quella fermezza che certo sono pronti a dimostrare i soldati a cavallo e appiedati — ma con lunghi bastoni — che le stanno ai piedi.

L’affresco, commissionato dai Nove allora al governo della città, in un momento difficile per carestie e sommosse, vuole essere un manifesto politico che rassicuri i cittadini, ma anche li ammonisca a non tentare colpi di mano, perché i Nove sono ben decisi a soffocare con durezza il montante scontento. È per questo che l’aerea figura di Securitas (la Sicurezza), che si libra sulla ridente campagna, tiene bene in vista una forca con un impiccato, monito per i briganti e per chiunque con rapine e assalti pensi di rendere insicure le strade del contado senese.

Torniamo allora alla Pace e al suo ramoscello d’ulivo. Quel ramoscello, che noi siamo abituati a pensare nel becco della colomba, alla fine del Diluvio Universale, simbolo per Noè che le acque si stanno finalmente ritirando e che vicina è la pace con Dio, nel medioevo aveva un significato diverso. Era un simbolo di pace, ma non conseguente a una tregua o a un accordo fra due parti, ma a un accordo imposto in seguito a una sconfitta.

Giovanni Villani, nel capitolo settantacinque del VI libro delle sue Croniche, racconta che i fiorentini, a ricordo di una vittoria contro i senesi, fecero elevare su un poggetto che si vedeva dalla città di Siena una torre «e a dispetto de’ Sanesi, e a ricordanza di vittoria, ripiena di terra, vi piantarono suso uno ulivo, il quale in fino a’ nostri dì ancora v’era». Sempre il Villani, questa volta nel XII libro al capitolo centocinque, ricorda che Cola di Rienzo, al culmine del suo breve sogno, per essere riuscito a sottomettere i Colonnesi «ne montò in grande pompa e superbia. E mandonne lettere e messi con olivo al nostro comune [Firenze] significando la sua gran vittoria, e a quello di Perugia e Siena e ad altri comuni vicini suoi confidenti». Nell’iconografia dei santi toscani l’olivo, più che attributo caratteristico di una loro qualità specifica, è un attributo «meritato», perché legato a un avvenimento vittorioso, assicurato dalla loro celeste intercessione. San Barnaba, nella pittura fiorentina, ha sempre un ulivo in mano: è uno dei protettori di Firenze grazie alle vittorie dei fiorentini sui senesi a Colle Val d’Elsa nel 1269 e sugli aretini nel 1289, avvenute entrambe l’11 giugno, il giorno della sua festa. San Vittore I papa tiene ugualmente un ulivo in mano: il giorno della sua festa i fiorentini colsero, nel 1364, un’insperata vittoria sui pisani, come racconta Filippo Villani nell’XI libro delle Croni­che al capitolo novantanove, San Barnaba e san Vittore sono così ritratti, fra altri protettori fiorentini, nella tavola dell’Incoronazione della Vergine di Niccolò Geri­ni e Jacopo di Cione, conservata al Museo dell’Accademia a Firenze. San Vittore, inoltre, ha il ramoscello d’ulivo anche per i senesi, e per ragioni analoghe: nel 1299, sempre nel giorno della sua festa, Siena prese Sarteano: si vedano come esempio la tavola di Lippo Memmi conservata al Museo di Copenaghen, o il pannello del Sassetta conservato alla Pinacoteca di Siena. Infine san Dioniso — dipinto dal Maestro di San Miniato, nella chiesa di Orbatello — tiene il ramo di ulivo in mano perché il 9 ottobre (il suo giorno) del 1406 i fiorentini sconfissero i pisani.

La Pace di Ambrogio Lorenzetti, che riposa su di un minaccioso letto di armi, è dunque, una Pace sempre all’erta: lei sola è di profilo e in un atteggiamento inconsueto rispetto alla posizione frontale e composta delle altre Virtù dell’affresco: indica come, nel significato che abbiamo recuperato, essa fosse particolarmente vicina ai problemi che agitavano Siena.

La Pace senese è perciò una pace militare, che si ottiene con la sconfitta e la disfatta del nemico, spesso con il suo annientamento fisico. Se essa siede semisdraiata è perché indica e afferma una situazione politica stabile e di quiete, senza rivendicazioni o dolorose sommosse; ma il contesto, tutto vibrante d’armi entro cui il pittore l’ha inserita, e gli stessi attributi di cui l’ha dotata (oltre all’olivo, armi e ancora armi) sottolineano come essa sia il risultato di una superiorità militare. Pax ha come sua stretta alleata Fortitudo e non si basa sul­l’accordo con il nemico ma sulla sua sconfitta: pace è lo stesso che dire vittoria.

Nel medesimo Palazzo Pubblico, nella Sala del Gran Consiglio, è riapparso nel 1980 uno splendido e grande affresco che presenta un soggetto molto vicino al dipinto immediatamente soprastante, conosciuto come il celebre Guidoriccio da Fogliano di Simone Martini. La nuova scoperta ha messo in dubbio la tradizionale attribuzione del Guidoriccio, ma non vogliamo ora smuovere le braci di una non sopita polemica, Quello che qui importa è che nel nuovo affresco — che certamente rappresenta la resa di una città alla presenza dei vinti e di un vincitore — accanto al palazzo troneggi una specie di torre tondeggiante improvvisata, ripiena di terra, da cui si leva un albero che sembra ben essere un olivo: segno, accanto alle porte e ai cancelli spalancati, di sconfitta e di resa.

Chiara Frugoni

Per saperne di più:

C. Frugoni, Una lontana città, sentimenti ed immagini nel Medioevo, Torino, Einaudi, 1983;

C. Frugoni, O. Redon, Accusé Guido Riccio da Fogliano, défendez-vous! in «Medievales», 9 (1985), pp, 118-131.

Fonte: Storia e Dossier, Luglio/Agosto 1990

Torna in alto