Non ci sono più parole, ma solo parolacce, per descrivere Netanyahu e il suo piano criminale per rioccupare Gaza e rideportare i palestinesi superstiti non si sa bene dove. Ma il mondo “libero” solo di parole si occupa: da quando Israele ha reagito alla strage del 7 ottobre sterminando 50-70 mila palestinesi e bombardando e affamando gli altri 2,4 milioni, le anime belle discutono animatamente se sia o non sia un genocidio e chi protesta sia o non sia un antisemita. E, mentre qui si chiacchiera, lì la storia è ferma a due anni fa: a parte i morti, gli ostaggi tornati a casa e la tregua violata da Israele, non è cambiato nulla. Com’era prevedibile, la “guerra” asimmetrica dell’Idf ai civili (Hamas non combatte: si nasconde e lancia razzi dai tunnel) è persa: Hamas conserva almeno 25 mila soldati, fra veterani e nuove leve gentilmente offerte da Netanyahu con i suoi massacri. Certo, ci sono anche palestinesi che contestano Hamas, ma l’assenza di speranze e prospettive aiuta il “tanto peggio tanto meglio”. E, con lo stop agli aiuti internazionali, l’unico misero welfare lo fornisce Hamas. Che fino all’8 ottobre ’23 era ai minimi storici del consenso, ma poi ha via via recuperato tra chi non vede altro sbocco che la lotta armata.
Nel 2005 un premier duro, a tratti feroce come Sharon ebbe l’intuizione di ritirare le truppe e i coloni da Gaza, per vedere se i palestinesi sarebbero riusciti a darsi una leadership e un autogoverno. La vittoria elettorale di Hamas nel 2006, seguita dal boicottaggio occidentale, innescò la guerra civile fra i suoi miliziani e quelli di Fatah. Ora, 20 anni dopo, non c’è una leadership palestinese credibile e rappresentativa: non lo è (più) Hamas, non lo è mai stato Abu Mazen con la sua cricca screditata e corrotta. E la stessa assenza di alternative credibili affligge Israele. Netanyahu non ha mai avuto una strategia su Gaza e Cisgiordania: non può annettere 5,5 milioni di palestinesi (Israele diventerebbe uno Stato a maggioranza araba) né deportarli (non li vuole nessuno). Quindi continua con la tattica: fra processi e contestazioni di piazza, anche dall’Idf e dai Servizi, tira a campare appiccando guerre ovunque. Se tacciono le armi, è spacciato. Vedremo fino a quando Trump, che l’ha già fermato sulla guerra all’Iran, gli darà mano libera. Col rischio di inimicarsi i regimi sunniti, che su Gaza devono salvare almeno la faccia per non regalare consensi a Teheran. L’unica entità da cui non ci si attende nulla è l’Ue: il Parlamento ha appena bocciato financo la richiesta di discutere della rioccupazione di Gaza. Non solo non fanno nulla, a parte armare Israele, ma hanno paura persino delle parole: qualcuno potrebbe chiedere perché per Gaza i mantra sull’aggressore e l’aggredito e sulla “pace giusta” non valgono.
Il Fatto Quotidiano, 7 maggio 2025