Graffiti anti-NATO su un muro durante il bombardamento di Novi Sad

Belgrado ’99. Quando noi eravamo Putin

Il 24 marzo 1999 la Nato inaugurò il suo nuovo “concetto strategico” con attacchi indiscriminati e molte stragi di civili innocenti

La guerra e i suoi morti rimossi

24 marzo di 23 anni fa
L’Alleanza inaugurò il suo nuovo “concetto strategico” con attacchi indiscriminati e molte stragi di civili innocenti

di Salvatore Cannavò

Le bombe Nato su Belgrado iniziarono a essere scaricate il 24 marzo del 1999. Sembra una guerra d’altri tempi. Ma ricostruirne la genesi serve a darsi una visuale completa, in grado di capire che una volta Putin eravamo “noi”. Noi occidente, alleanza Nato che oggi qualcuno disegna come una coalizione “antimperialista”, buona per difendersi dalle mire espansioniste del cosiddetto (impropriamente) zar.

L’ANTEFATTO Quando iniziano le operazioni aeree contro la Federazione jugoslava (la ormai ridotta unione di Serbia, Montenegro e Kosovo) siamo all’ultima diramazione di un conflitto scoppiato nel 1991 con le secessioni delle Repubbliche slovena e croata e incarognito attorno alla tragica vicenda bosniaca.

La Serbia è costretta a firmare gli accordi di Dayton nel 1995 non solo perché è la responsabile principale delle bombe su Sarajevo, ma perché è la più invisa all’occidente.

RESTA IL KOSOVO La maggioranza di lingua albanese in Kosovo vorrebbe l’indipendenza. La Serbia, che ha in quella provincia autonoma una comunità di circa 200 mila abitanti, non sente ragione. Inizia un conflitto strisciante, promosso dall’Esercito di liberazione del Kosovo, Uck, che gli Stati Uniti fino a quel punto avevano inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche e a cui i serbi rispondono con un volume di fuoco dieci volte superiore. Per tutto il 1998 ci sono vittime civili, centinaia di migliaia di sfollati. Anche i serbi sono costretti ad abbandonare le proprie case.

IL MASSACRO DI RAČAK La svolta avviene con il massacro di Račak dove il 15 gennaio 1999 sono rinvenuti i corpi di 45 albanesi. La Serbia contesterà subito che si tratti di civili, altre ricostruzioni affermano che la fossa comune sia stata allestita dall’Uck. Le contestazioni sono ancora in corso, ma il massacro costituirà l’elemento mediatico decisivo perché le principali potenze occidentali (il Gruppo di contatto) prenda in mano il dossier.

TUTTI A RAMBOUILLET Lo fa portando le parti in Francia, al castello di Rambouillet dove si avvia una trattativa che sembra fallita in partenza. Gli Stati Uniti spalleggiano apertamente l’Uck e favoriscono la progressiva leadership di uno dei loro capi militari Hashim Thaci al posto del più moderato Rugova (Thaci, dopo essere divenuto presidente del Kosovo si dimetterà nel 2020 dopo che il Kosovo Specialist Prosecutor’s Office all’Aja lo rinvia a giudizio per crimini di guerra e contro l’umanità).

Il vero punto in discussione è la sovranità del Kosovo, da garantire con una missione Onu, ma che la Serbia non vuole riconoscere. La strada dei bombardamenti su cui gli Stati maggiori stanno già lavorando è spianata.

BOMBE SU BOMBE Gli aerei iniziano a decollare verso le ore 16 del 24 marzo. Belgrado rompe le relazioni diplomatiche con Usa, Gran Bretagna, Germania e Francia. Il 25 marzo iniziano le incursioni all’interno della Serbia, sugli aeroporti in Kosovo e nei dintorni di Belgrado.

Il 26 marzo inizia l’afflusso dei primi profughi kosovari presso le frontiere albanese e macedone. I serbi, per reazione alle bombe Nato, intensificano le rappresaglie e le azioni militari.

Il 5 aprile si verifica il primo “effetto collaterale”: una bomba da 250 kg cade in un’area abitata provocando 17 morti.

Il 12 aprile viene bombardato un ponte mentre sta transitando un treno: 55 vittime. Un’altra strage di civili albanesi sarà compiuta il 14 aprile a opera di un F-16 che colpisce tre veicoli. Secondo la ricostruzione Nato, che ammette “l’errore”, i veicoli avevano l’apparenza di camion militari.

Il 15 aprile Michele Santoro, alla guida della trasmissione Moby Dick, riesce a realizzare la diretta televisiva dal ponte Brankov di Belgrado dove i belgradesi ogni sera si recano per trascorrervi la notte come “scudi umani’” contro i bombardamenti. Ancora bombe il 21 aprile, sempre su Belgrado, dove il quartier generale del Partito socialista jugoslavo viene preso di mira con bombe incendiarie. E il 23 aprile, alcuni missili colpiscono la torre della televisione pubblica serba, causando 16 morti. Il 30 aprile, il bombardamento del ponte della piccola città di Murino, in Montenegro, causa la morte di sei persone.

Le stragi proseguono il 1o maggio, quando 47 civili vengono uccisi in un bus centrato mentre attraversava un ponte sotto bombardamento.

Il 7 maggio un errore durante un bombardamento nelle vicinanze di Nis (nel sud) causa la morte di 15 uomini. L’8 maggio viene colpita per un probabile errore anche l’ambasciata cinese a Belgrado. Altri 60 morti e 80 feriti sono causati dalla Nato in un villaggio kosovaro, Korisa.

Il 21 maggio circa cento carcerati muoiono durante il bombardamento di un carcere a Pristina.

Il 22 maggio sette guerriglieri dell’Uck rimangono uccisi per un errore della Nato.

Il 30 maggio, durante un bombardamento di un ponte autostradale, rimangono uccise undici persone che lo stavano attraversando.

Due stragi di civili si compiono il 31 maggio: 20 persone rimangono uccise in un ospedale a Surdulica, mentre una bomba colpisce il villaggio di Novi Pazar, causando 23 morti.

L’ACCORDO DI KUMANOVO Il 17 maggio il presidente finlandese Martti Ahtisaari accetta l’incarico di mediatore dell’Unione europea e il 3 giugno, insieme al russo Viktor Cernoyrdin, già primo ministro della Federazione, si reca a Belgrado. La Federazione jugoslava accetta la proposta di pace.

L’intesa prevede il ritiro di tutte le forze di natura militare jugoslave dal Kosovo e la fine delle ostilità, un progressivo autogoverno sotto supervisione internazionale (le missioni UnMik e quella mista Onu-Nato Kfor).

L’indipendenza del Kosovo sarà dichiarata nel 2008 ed è riconosciuta solo da un centinaio di Stati, esclusa la Serbia. La missione Kfor è ancora attiva e l’Italia vi partecipa con 628 militari. Entrambi i Paesi vorrebbero entrare nell’Unione europea e su questo è in corso una complessa trattativa.

LEZIONI Le bombe Nato hanno chiuso la fase acuta del conflitto a costo di numerose vittime civili stimate dallo Humanitarian Law centre in 454 più 300 membri delle forze armate. Secondo la stessa fonte le vittime complessive della guerra in Kosovo sarebbero 10.145 albanesi e 2.197 serbi (ricordare il rapporto tra le popolazioni) a cui si aggiungono 528 rom, bosniaci e altri non albanesi. Le vittime nel Donbass, dal 2014 in poi, sono stimate in 14 mila circa. Ma nessun intervento militare esterno è stato mai ipotizzato.

La Nato ha iniziato proprio nella ex Jugoslavia a mutare strategia. L’articolo 5 dell’Alleanza atlantica stabilisce che questa interviene a difesa di uno dei suoi membri. Ma in Kosovo si è andati oltre applicando per la prima volta il “nuovo concetto strategico” elaborato nel vertice per il 50° della Nato tenutosi a Washington il 23 e 24 aprile 1999.

Da strumento per “salvaguardare la libertà e la sicurezza di tutti i propri membri” ad Alleanza che può compiere azioni “non previste dall’articolo 5” condotte “in conformità al diritto internazionale e al mantenimento della pace”. Gran parte degli eventi successivi si spiega anche su come è stata condotta e conclusa quella guerra.

Il Fatto Quotidiano, 17 Marzo 2022

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