Gran Bretagna, la libertà sotto controllo

L'Online Safety Act britannico, nato per proteggere i minori, è sempre più percepito come un’ingerenza dello Stato che limita la libertà di espressione e alimenta timori di censura, sia nel Regno Unito che all’estero.

Nel Regno Unito entra in vigore l’Online Safety Act, legge che, con il pretesto di proteggere i minori da pornografia e contenuti nocivi, introduce un controllo capillare su Internet. Post e video su temi sensibili, inclusi interventi di parlamentari, vengono rimossi o limitati; le piattaforme rischiano multe fino al 10% del fatturato e impongono verifiche invasive di identità. Critici avvertono di rischi per la privacy e di una deriva autoritaria simile a precedenti in Russia e Turchia, dove leggi analoghe sono state usate per reprimere dissenso e minoranze. Crescono le chiusure di forum e community per paura di sanzioni. Negli USA, il provvedimento è stato definito “orwelliano” e ha inasprito tensioni commerciali. Politici come Farage promettono di abrogarlo, mentre il governo laburista lo difende. Per molti, la legge mina una tradizione secolare di libertà d’espressione, mettendo in crisi la credibilità del Regno Unito nel condannare regimi autoritari. Il rischio, secondo i critici, è spingere il dibattito nelle aree più radicali e non controllabili della rete, trasformando un presunto strumento di sicurezza in un mezzo di repressione e perdita di un’eredità culturale fondata sulla libertà di parola.

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di John Power

Un anno fa, il Regno Unito era scosso dai peggiori disordini razziali dal 2001. Le violenze scoppiarono dopo la diffusione di voci online secondo cui l’autore di un atroce crimine a Southport fosse un rifugiato musulmano. Quest’estate le tensioni si sono riaffacciate, con proteste minori legate a presunte aggressioni sessuali attribuite a migranti.

Ma stavolta c’è qualcosa di diverso: lo scorso venerdì è entrata in vigore una legge approvata nel 2023, l’Online Safety Act, e i suoi effetti si sono fatti sentire immediatamente. I video sui social che mostrano scontri tra manifestanti e polizia vengono censurati, i post che parlano di violenze sessuali vengono automaticamente segnalati come contenuti pornografici. Un filmato girato davanti al Britannia Hotel di Leeds — in cui si vedono agenti bloccare un manifestante — oggi è praticamente introvabile online nel Regno Unito.

Se da un lato il governo rivendica la volontà di “mantenere la calma”, dall’altro è evidente un controllo sempre più capillare su ciò che è visibile in rete. Perfino i parlamentari rischiano la censura. Il discorso alla Camera della deputata conservatrice Katie Lam sui crimini sessuali commessi da gang di adescatori è stato oscurato su X, classificato come “contenuto dannoso”.

L’Online Safety Act nasce con l’intento dichiarato di proteggere i minori da contenuti nocivi come pornografia, siti pro-suicidio o forum sull’autolesionismo. Un obiettivo nobile, almeno sulla carta. Ma nella realtà, la legge si sta rivelando il più ambizioso tentativo mai realizzato da una democrazia liberale per sottoporre Internet al controllo statale.

Le piattaforme rischiano multe fino al 10% del fatturato globale per ogni infrazione. La risposta? Una giungla di misure invasive: verifica dell’identità tramite documenti e carte di credito per dimostrare l’età degli utenti.

I problemi di sicurezza sono evidenti. Costringere i cittadini a fornire i propri dati a siti pornografici crea un’enorme vulnerabilità: basti pensare al caso Ashley Madison, il sito per incontri extraconiugali hackerato dieci anni fa. Milioni di nomi, carte e dettagli intimi finirono online. Ora immaginiamo questo su scala nazionale, con database imposti dallo Stato e potenzialmente esposti agli attacchi di governi ostili o criminali informatici.

Eppure, una legge pensata per tutelare i bambini avrebbe potuto limitarsi a regolare l’accesso ai contenuti espliciti, con garanzie forti per la privacy e confini ben definiti. Invece si è scelta la via dell’ambiguità, estendendo il controllo anche a concetti vaghi come “odio” o “contenuti dannosi”. La confusione tra privacy e protezione dell’infanzia è diventata uno strumento di ricatto emotivo, come dimostra l’attacco del ministro della Scienza Peter Kyle, che ha accusato Nigel Farage di “stare dalla parte dei predatori” come Jimmy Savile per essersi opposto alla legge.

Non è la prima volta che un governo giustifica la censura con la tutela dei minori. In Russia, una legge simile fu approvata nel 2012 per poi essere usata contro oppositori e contenuti LGBT. In Turchia, nel 2020, la cosiddetta “legge sui social media” ha finito per colpire la libertà d’espressione e obbligare le piattaforme a consegnare i dati degli utenti.

Il Regno Unito sembra ora muoversi nella stessa direzione. L’Online Safety Act punta, neanche troppo velatamente, a controllare i canali del dissenso, soprattutto quello più scomodo per il potere. È tanto uno strumento di gestione dell’instabilità politica quanto un provvedimento di regolazione digitale. In parallelo, è nata una nuova unità di polizia per monitorare i contenuti “anti-migranti” online. È molto più facile criminalizzare il dissenso che affrontare le lacune nella sicurezza o la disgregazione del tessuto sociale.

Ma al di là degli aspetti pratici, la posta in gioco è un principio fondamentale: la libertà d’espressione. Per secoli, la Gran Bretagna ha esportato questa idea, a partire dal pamphlet Areopagitica di John Milton nel 1644, che si scagliava contro il sistema di autorizzazione preventiva imposto alla stampa. Oggi, però, la patria della libertà di parola sembra averla tradita.

Anche Wikipedia si è vista costretta a opporsi legalmente a Ofcom, l’autorità di regolazione, affermando che “è nell’interesse della società britannica contestare il prima possibile leggi che minacciano i diritti umani”. OpenAI — l’azienda che ha sviluppato ChatGPT — ha annunciato che limiterà alcuni servizi nel Regno Unito proprio per le restrizioni previste dalla legge. Risorse che hanno ampliato l’accesso globale alla conoscenza vengono ora sacrificate in nome della “sicurezza”.

E non è solo la Silicon Valley a pagare il prezzo. In Gran Bretagna, piccoli forum e community digitali stanno chiudendo per evitare rischi legali. Un forum di appassionati di criceti, un gruppo di residenti dell’Oxfordshire e una community di ciclisti hanno sospeso le attività. Su Reddit, i subreddit britannici dedicati a birra e sidro sono scomparsi per gli utenti non verificati, perché la piattaforma deve presumere che siano minorenni.

Internet ha trasformato profondamente la politica britannica, permettendo la nascita di movimenti anti-establishment come la Brexit o l’ascesa di Jeremy Corbyn. Anche il dibattito critico sull’identità di genere è nato e cresciuto online, spesso ostacolato dallo Stato con minacce d’arresto o annotazioni nei registri dei “reati d’odio non criminali”.

Il paragone più calzante è quello con la stampa a caratteri mobili. Quando l’invenzione di Gutenberg si diffuse in Europa, non stampava solo Bibbie e trattati, ma anche eresie, libelli sediziosi e satire. Nessuna società liberale avrebbe mai pensato di limitare quella rivoluzione per paura degli abusi. E oggi, le piattaforme censurate sono proprio quelle che hanno portato alla luce i fallimenti più gravi del sistema britannico.

Cosa accade quando lo Stato tenta di controllare il dibattito con il pugno di ferro? Lo abbiamo visto durante la pandemia. Le persone si sono rifugiate su Telegram, in chat criptate, nei recessi più remoti del web. Il risultato è stata una radicalizzazione diffusa e un’opposizione ancora più incattivita. L’Online Safety Act rischia di ripetere esattamente lo stesso schema.

Per quanto si cerchi di “civilizzare” la rete, spingere i cittadini a usare VPN o canali alternativi non eliminerà i contenuti scomodi. Semplicemente li renderà invisibili e meno controllabili, in spazi dove la rabbia cresce e il controllo dello Stato si fa più debole. Alla fine, questa legge potrebbe rafforzare proprio le frange più estreme che vorrebbe combattere.

La responsabilità della sua attuazione è oggi del governo laburista, ma il progetto è nato tra i conservatori: il White Paper del 2019 voluto da Theresa May, portato avanti da Nadine Dorries e altri che ne chiedevano un inasprimento. Anche esponenti della destra Tory, come Miriam Cates, hanno appoggiato il testo, paragonando le big tech a chi, nell’Ottocento, voleva continuare a mandare i bambini nelle miniere. Solo pochi, come Kemi Badenoch, hanno avuto il coraggio di opporsi fin dall’inizio, temendo — a ragione — un’ulteriore deriva autoritaria.

Farage ha già annunciato che, se eletto, abrogherà la legge, criticando anche il laburista Chris Philp per il suo sostegno al provvedimento. Una mossa che mette in luce quanto il Partito Conservatore si sia allontanato dai suoi ideali di libertà.

Un tempo, la libertà era un valore intrinseco dell’identità britannica, sentito molto più profondamente degli attuali mantra burocratici come “diversità” e “tolleranza”. Oggi, quell’identità è in crisi.

La Gran Bretagna ha sempre fatto della libertà d’espressione uno strumento di influenza globale: dalle trasmissioni della BBC durante la Guerra Fredda al suo ruolo di rifugio per dissidenti e giornalisti. Ma come può ora ammonire i regimi autoritari, se reprime il dissenso in casa propria?

Negli Stati Uniti, la legge è stata definita “orwelliana” dal Dipartimento di Stato. I rapporti commerciali tra Londra e Washington sono ora ostacolati da un conflitto di valori, acuito dallo scontro tra Apple e il governo britannico sull’encryption di iCloud. Il vicepresidente J.D. Vance si è schierato contro la legge, considerandola parte di una più ampia repressione della libertà digitale in Europa. Ma la ministra della Cultura, Lisa Nandy, ha già chiarito che il testo non verrà modificato per favorire accordi di libero scambio.

Nel mondo MAGA si ricorda bene che Donald Trump è riuscito a diventare presidente anche grazie alla libertà d’espressione garantita online. Nel 2016, i suoi sostenitori usarono Internet e i meme per diffondere il messaggio. Nel 2024, ha evitato la TV per puntare tutto sui podcast.

Anche l’acquisizione di Twitter (oggi X) da parte di Elon Musk, motivata dalla difesa della libertà di parola, è stata vista come un fattore decisivo per la sua vittoria. Per molti, i media tradizionali sono un cartello che manipola le informazioni per controllare l’opinione pubblica.

Quando gli Stati Uniti chiedono al Regno Unito di rispettare la libertà d’espressione, non è solo una questione diplomatica: è una difesa di un’eredità culturale e filosofica condivisa. Se Londra non corregge la rotta, rischia di essere esclusa da accordi sui dati miliardari e di perdere investimenti cruciali nel settore tecnologico.

Ma, al di là degli interessi economici, non dovrebbe toccare agli americani ricordare agli inglesi l’importanza della libertà. Questo è compito dei parlamentari britannici, eletti proprio per difendere le libertà dei cittadini.

In fondo, nessun manuale di diritto costituzionale può spiegare meglio di Wordsworth perché tutto questo conta: “Dobbiamo essere liberi o morire, noi che parliamo la lingua di Shakespeare”. Quando smetteremo di crederlo, la Gran Bretagna — quella vera, dei nostri antenati — avrà cessato di esistere.

[Traduzione di Alberto Piroddi]

The Spectator, 2 agosto 2025

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