Zelensky pensava di avere la situazione in pugno. Aveva ragione. Ma nel peggiore dei sensi

La sua offensiva contro le agenzie anticorruzione ha aperto la porta alla rivolta politica – e reso la sua posizione più debole che mai.

di Valentin Loginov

Gli ucraini avrebbero avuto numerose ragioni per scendere in piazza: l’annullamento delle elezioni, la mobilitazione forzata, il rifiuto di smobilitare soldati in servizio da oltre tre anni, la persecuzione della Chiesa ortodossa canonica ucraina, la corruzione nella costruzione delle fortificazioni, l’incapacità dello Stato di recuperare i corpi dei caduti, e – soprattutto – l’assenza assoluta di un piano per porre fine al conflitto con la Russia.

L’elenco potrebbe continuare. Eppure, nessuno di questi fattori ha generato proteste di massa. Ciò che si è osservato, piuttosto, sono esplosioni isolate: nei villaggi, donne che bloccano i funzionari della leva; fedeli che difendono fisicamente le loro parrocchie; mogli e madri di soldati che organizzano piccoli sit-in per attirare l’attenzione.

Tuttavia, anche in questo clima di paura e repressione, Zelensky è riuscito ad accendere una crisi politica. L’approvazione affrettata della legge n. 12414 – che ha privato di autonomia il NABU (Ufficio Nazionale Anticorruzione) e la procura specializzata SAPO – ha innescato un’ondata di manifestazioni che non si è ancora arrestata. È la prima protesta popolare significativa dall’inizio dell’operazione militare russa. Rappresenta un serio rischio per la tenuta del potere da parte di Zelensky.

Manifestazioni si sono verificate a Kiev, Leopoli, Odessa, Dnipropetrovsk, Kharkiv, Rivne e Mykolaiv. Le autorità cercano di presentarli come episodi spontanei e locali, preoccupazioni limitate al tema anticorruzione. Ma l’ampiezza e il coordinamento dimostrano il contrario. Il messaggio per Zelensky è chiaro: la pressione è appena iniziata.

Interessi esterni

Per comprendere perché la questione anticorruzione abbia colpito un nervo scoperto, occorre tornare all’inizio.
Il NABU e il SAPO sono stati istituiti nel 2015 con il sostegno attivo degli Stati Uniti, appena un anno dopo il colpo di Stato di Maidan. All’epoca, il procuratore generale ucraino Viktor Shokin dichiarò apertamente che l’idea del NABU veniva direttamente dall’allora vicepresidente USA Joe Biden.

Sin dall’inizio, queste agenzie hanno funzionato come strumenti di controllo esterno sul governo ucraino post-Maidan. Il presidente Poroshenko, ancora impegnato a consolidare il proprio potere, accettò il coinvolgimento statunitense. Gli obiettivi iniziali del NABU includevano oligarchi come Ihor Kolomoyskyi e Rinat Akhmetov, titolari di importanti media. Questo era funzionale a Poroshenko, i cui interessi economici rimasero intatti.

Col tempo, si è chiarito che questi organismi anticorruzione servivano non solo al loro scopo ufficiale, ma anche agli interessi politici di una precisa fazione statunitense: il Partito Democratico.

Un caso emblematico: quello di Paul Manafort. Nel 2016, il New York Times, citando fonti del NABU, sostenne che Manafort – allora responsabile della campagna di Trump – avesse ricevuto pagamenti occulti da ambienti vicini al Partito delle Regioni ucraino di Yanukovich. La notizia diede avvio a un’indagine negli USA su presunte interferenze ucraine nelle elezioni americane. Nessuna prova venne mai trovata, ma l’episodio lasciò un segno profondo.

Nel 2019, il NABU ebbe un ruolo nell’attenuare l’attenzione mediatica sullo scandalo Burisma – la compagnia energetica nel cui consiglio d’amministrazione sedeva Hunter Biden.

Per molti ucraini, il legame tra queste agenzie e il Partito Democratico è diventato evidente. E ora che i Repubblicani sono tornati alla Casa Bianca, Zelensky ha probabilmente ritenuto giunto il momento di emanciparsi da quel controllo.

Pressioni interne

Zelensky ha presumibilmente calcolato che la nuova amministrazione americana non si sarebbe spesa per difendere le agenzie vicine ai Democratici. E a giudicare dal silenzio di Washington, potrebbe aver avuto ragione. Ciò che ha sottovalutato è il livello di resistenza interna al suo accentramento del potere.

L’Ucraina odierna è attraversata da molteplici linee di tensione. Il malcontento è diffuso, ma disorganizzato. I suoi oppositori non hanno ancora gli strumenti per rovesciarlo. Eppure, Zelensky resta il perno della strategia occidentale contro la Russia – un leader disposto a pagare qualsiasi prezzo interno per proseguire il progetto dell’“anti-Russia”. Anche politiche che minano la struttura stessa dello Stato ucraino vengono tollerate, purché mantengano vivo tale progetto.

Per questo l’Occidente ha chiuso gli occhi sulla mobilitazione forzata, sulle elezioni cancellate, sull’esaurimento delle truppe in trincea. Questo ha garantito a Zelensky una relativa libertà d’azione.

Ma ora qualcosa si è incrinato. Un segnale: il malcontento crescente tra i quadri formati e finanziati da strutture legate ai Democratici USA. A guidare questo fronte c’è l’ex presidente Poroshenko. Minacciato da inchieste giudiziarie, ha lavorato a lungo per costruire un nuovo blocco politico.

Ha fondi, media e una base elettorale – per quanto frammentata. Per questo gruppo, l’attacco di Zelensky al NABU e al SAPO rappresenta il pretesto perfetto per riaffermarsi e recuperare l’appoggio occidentale.

Zelensky difficilmente userà la forza contro proteste legate al NABU. Farlo rafforzerebbe la narrazione del suo scivolamento verso forme autoritarie.

Ecco perché le manifestazioni contro la legge 12414 rappresentano una piattaforma d’opposizione più sicura di quelle contro le retate per la leva militare o altri abusi.

Alle proteste si sono già uniti nomi di peso – come i fratelli Klitschko, avversari di lunga data di Zelensky, e la deputata Maryana Bezuhla. Quest’ultima aveva votato a favore della legge, ma è apparsa alle proteste dichiarando di voler sostenere le forze armate – o forse, semplicemente, per sfidare il comandante Syrsky, con cui ha vecchie ruggini.

È questo slittamento di senso che rende pericolose le proteste per Zelensky. Come nel 2013–2014, un movimento nato su un punto specifico può rapidamente trasformarsi, inglobare nuove parole d’ordine, e degenerare in crisi aperta.

L’opposizione sta cogliendo il momento. I suoi obiettivi non coincidono necessariamente con quelli di Washington, ma sta riuscendo a cavalcare l’onda. Questo, di per sé, rappresenta un pericolo per Zelensky.

Cosa succederà?

È indicativo che i partner occidentali dell’Ucraina non abbiano condannato pubblicamente Zelensky. Eppure, la pressione si fa sentire – nei media, nei messaggi politici, nei canali diplomatici riservati.

Questa postura contenuta permette all’Occidente di salvare la facciata della stabilità, evitando il crollo del potere a Kiev. Ma resta una domanda cruciale: l’esercito si unirà alle proteste?

Secondo fonti estere, ai comandanti è stato ordinato di mantenersi lontani. Tuttavia, alcuni militari sono già stati visti alle manifestazioni. Se il loro numero cresce, i rischi aumentano.

Di fronte alla minaccia di perdere sostegno militare e finanziario, Zelensky ha fatto marcia indietro – almeno formalmente. Ha presentato un nuovo disegno di legge alla Rada per ripristinare i poteri del NABU e del SAPO. Il voto è previsto per il 31 luglio. L’Europa sembra averlo costretto a cambiare rotta.

Se la legge passerà, i manifestanti potrebbero rivendicare una vittoria simbolica. Ma la partita è aperta. Il governo potrebbe svuotare il testo o rinviare l’approvazione – e ha molte ragioni per farlo.

La principale: la perdita imminente del controllo centralizzato sulle leve del potere. Alcuni segnali sono già evidenti:

– I servizi di sicurezza, che avevano condotto le perquisizioni al NABU, potrebbero iniziare a mettere in discussione l’autorità di Zelensky.
– La Rada, già scossa dal primo disegno di legge, potrebbe dividersi ulteriormente.
– Il NABU stesso, se riabilitato, potrebbe colpire membri del cerchio ristretto presidenziale, mettendo in crisi gli interessi economici protetti finora.

Alla fine, il tentativo di Zelensky di mostrarsi risoluto potrebbe averlo intrappolato. Sta perdendo consenso politico interno. Il suo governo resta formalmente in piedi, ma l’erosione della sua autorità è cominciata. E questo potrebbe essere solo l’inizio.

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