Ira

Seneca invita a educare i bambini con equilibrio, senza indulgenze né umiliazioni, evitando adulazione, premiando la virtù e correggendo con fermezza.

Che i fanciulli siano subito educati in maniera sana […] è difficile, poiché dobbiamo fare in modo di non nutrire in loro l’ira e insieme di non mutarne il carattere. Un impegno che comporta un’attenzione scrupolosa, poiché sia ciò che si deve sviluppare sia ciò che si deve ridurre ha simile nutrimento […]. Nella libertà di agire l’animo fiorisce, nella servitù si sconforta; se lodato, si esalta ed è spinto a nutrire fiducia in se stesso, ma questo genera anche arroganza e iracondia: perciò l’allievo va educato usando ora il morso ora gli sproni.

Non deve mai subire umiliazioni né vessazioni; non deve mai supplicare per conseguire qualcosa, né insistere per ottenerlo; è meglio che lo conquisti con le buone ragioni, le buone azioni passate e i buoni propositi per l’avvenire.

Nelle gare con i coetanei non dobbiamo mai permettere all’allievo di scoraggiarsi o di adirarsi; facciamo in modo che vada d’accordo con i ragazzi con cui gareggia, che si abitui non a voler nuocere, ma a voler vincere: e ogni volta che vincerà e compirà un’azione degna di lode, consentiamogli di provare orgoglio ma non vanto; la gioia infatti diviene esultanza, e l’esultanza diviene arroganza ed eccessiva stima di sé.

Concediamogli pure qualche svago, ma non lasciamo mai che si abbandoni all’inattività e all’ozio. Teniamolo distante dai piaceri e dalle ricercatezze; niente rende più iracondi di un’educazione molle e indulgente. […] Non reggerà alle offese chi l’ha sempre avuta vinta e ha sempre avuto la mamma pronta ad asciugargli le lacrime e ha sempre avuto la meglio sul pedagogo.

Non vedi come a una maggiore agiatezza si accompagni una maggiore irascibilità? La si nota soprattutto nei ricchi, nei nobili, in chi ricopre alte cariche, quando la naturale superbia del carattere accresce grazie a un vento propizio. La fortuna nutre l’iracondia, quando gli adulatori si ammassano intorno al presuntuoso e gli sussurrano all’orecchio: «Davvero credi che quel tizio oserebbe risponderti? Tu ti sminuisci, non tieni conto del tuo valore», e altre espressioni simili cui egli difficilmente è capace di resistere.

Ecco perché i ragazzi non devono conoscere l’adulazione: ascoltino invece la verità, abbiano anche paura talvolta, portino sempre rispetto, si alzino in piedi al sopraggiungere di una persona anziana.

Che il fanciullo non ottenga nulla per mezzo dell’ira: gli si conceda solo appena si sarà calmato ciò che gli è stato negato quando strepitava. Abbia sotto gli occhi le ricchezze dei genitori senza che ne possa disporre. Venga rimproverato per le sue malefatte.

[…] E soprattutto, che il vitto sia misurato, gli abiti non costosi, il tenore di vita uguale a quello dei coetanei: il fanciullo non si arrabbierà di essere paragonato agli altri se sin dall’inizio sarà trattato alla stessa stregua.

LUCIO ANNEO SENECA, De ira, II, 21.

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