Dall’Unione all’eunuco: come Trump ha sistemato il problema della spina dorsale dell’UE

L’“accordo” tariffario Washington-Bruxelles è una resa incondizionata senza guerra. Ask ChatGPT

Nella storia, alcune cose si capiscono solo col senno di poi. Per esempio, la riunificazione tedesca – è stata una buona o una cattiva idea? La risposta definitiva, ancora oggi, non c’è.

Eppure ci sono anche eventi che risultano chiari sin dall’inizio. Uno su tutti: il genocidio a Gaza perpetrato da Israele con la complicità dell’Occidente. Alcuni fingono solo adesso di essersene accorti, ma la realtà era lampante fin dall’inizio.

Un’altra verità altrettanto evidente – come sbattere contro un muro di cemento – è che l’Unione Europea ha appena subito una sconfitta catastrofica e paralizzante. Ma, come spesso accade per i vassalli europei dell’America, si tratta di una sconfitta strana.

Strana perché non è stata inflitta da un nemico, bensì da un “alleato” e presunto fratello nei “valori”. Proprio mentre i sudditi della NATO e dell’UE si accalcano per continuare a pagare la fallimentare guerra per procura contro la Russia – guerra istigata dagli Stati Uniti – e nel contempo costruiscono nuove Linee Maginot (questa volta inclusi muri di droni) per fermare il “grande nemico russo”, è proprio Washington a pugnalare alle spalle i suoi zelanti lacchè europei. Il paradosso è che l’UE non solo ha subito il colpo, ma ha fatto di tutto per facilitare la propria disfatta. Come ha detto – con ironia, ma in modo corretto – Sebastian Gorka, fedele collaboratore di Trump e a sua volta europeo devoto al potere imperiale americano, l’Europa “ha piegato il ginocchio”. E, a sangue ancora caldo, l’UE si è rialzata, si è aggiustata il tailleur, e ha detto “grazie”. Proprio come quei cancellieri tedeschi che ridono servili mentre un presidente americano annuncia che “metterà fine” alle infrastrutture vitali della Germania.

Stiamo parlando, ovviamente, del cosiddetto “accordo” tariffario e commerciale appena concluso nel resort di lusso scozzese di Turnberry, tra gli Stati Uniti – guidati dal sedicente “uomo delle tariffe” e presidente eletto (sia pure secondo regole quantomeno discutibili) Donald Trump, nonché proprietario dello stesso golf club – e l’Unione Europea, rappresentata, non si sa bene in base a quale mandato, dalla immacolatamente non eletta presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. La stessa che ci aveva promesso una Commissione e un’Europa “geopolitica”. Se questa è la vostra geopolitica, è un suicidio.

È stata una carneficina, ma non possiamo nemmeno chiamarla “battaglia di Turnberry” perché non c’è stata alcuna battaglia prima che l’UE crollasse. Il succo di quello che è stato a tutti gli effetti un massacro economico è semplice: dopo mesi di negoziati, sette viaggi a Washington e oltre 100 ore di chiacchiere inconcludenti da parte del teneramente inutile commissario europeo al commercio Maroš Šefčovič, l’UE è tornata a casa non con un cattivo accordo, ma con una sconfitta pura, totale, distillata, come se avesse deciso di incarnare l’essenza stessa della disfatta – da Canne a Waterloo fino a Stalingrado. Mentre Trump snocciolava una lunga lista di concessioni sostanziose ed onerose ottenute dagli europei, von der Leyen non ha portato a casa niente. Letteralmente niente. Non è un accordo. È una resa incondizionata. Senza guerra.

In sostanza, gli Stati Uniti imporranno ora tariffe “di base” del 15% sulla maggior parte delle massicce importazioni dall’UE, comprese le automobili. Ma ci sono anche delle “eccezioni”! Le tariffe punitive già in vigore – del 50% – su acciaio e alluminio resteranno al loro posto. In cambio, per le merci statunitensi vendute nel grande ma decadente mercato europeo, le tariffe saranno in pratica pari a zero, o al massimo inferiori all’1%.

E per dimostrare quanto apprezzi questo splendido “accordo equo”, l’UE ci ha aggiunto un extra, come in quei televendite notturne: solo che lo slogan europeo è “rovinaci adesso e ricevi subito altri 1.350 miliardi di dollari, così ci impoveriamo noi e arricchiamo voi!”

Questi 1.350 miliardi si concretizzano in due promesse di veri e propri tributi diretti – sì, il termine corretto è proprio questo – da parte dell’UE verso Washington: 600 miliardi di investimenti aggiuntivi (come ha sottolineato Trump) che le aziende europee, evidentemente stordite dalla gratitudine, riverseranno negli Stati Uniti; e 750 miliardi per acquistare gas naturale liquefatto americano – tra i più inquinanti e costosi – da immettere in ciò che rimarrà dell’industria europea.

Nel frattempo, Trump fa concessioni – di nuovo – alla Cina. La Cina, ovviamente, è quella potenza sovrana ed economica che ha fatto ciò che l’UE ha completamente fallito: resistere ai bulli di Washington. E ora proviamo a immaginare cosa avrebbe potuto ottenere l’UE se avesse scelto di collaborare con Pechino per contenere l’aggressività americana. Invece no: il recente vertice UE-Cina a Pechino ha mostrato chiaramente che Bruxelles non è ancora pronta ad abbandonare il suo atteggiamento arrogante, fatto di prediche e minacce, soprattutto nel vano tentativo di spaccare l’asse tra Pechino e Mosca. Il vertice ha anche reso chiaro che la Cina non si muoverà di un millimetro. E perché mai dovrebbe?

L’assurdità di tutto ciò è lampante, anche se si discutono già i dettagli. Perché tra il clan di Trump e quello di von der Leyen – due narcisisti dichiarati, ciascuno a modo suo – non c’era ovviamente nessuno che si occupasse delle questioni pratiche. La regale von der Leyen, con la sua tipica nonchalance aristocratica, non si è nemmeno preoccupata di verificare se avesse il diritto – o il potere effettivo – di promettere quei 1.350 miliardi, che in realtà solo aziende specifiche potrebbero mettere a disposizione. Spoiler: non ce l’ha.

Ma che cosa significa tutto questo? Tre punti chiave:

Primo, bisogna per una volta concordare perfino con i fanatici americani del cambio di regime e della guerra – tipo Anne Applebaum e Timothy Snyder: l’appeasement europeo è reale. Ma non verso la Russia, che non è mai stata conciliata, bensì provocata, attaccata senza motivo e sistematicamente zittita. No, quella che gli europei placano è l’America, il loro egemone spietato e sprezzante, il loro peggior nemico: dal sabotaggio del Nord Stream al disastro di Turnberry.

Secondo, basta guardare i patetici tentativi ufficiali di vendere questo patto di sfruttamento e devastazione all’opinione pubblica europea: il cancelliere tedesco Friedrich Merz – lodato in patria solo perché non è stato umiliato troppo platealmente alla Casa Bianca – ha ringraziato ufficialmente i negoziatori europei, in particolare Šefčovič e von der Leyen, elogiando l’accordo per aver “evitato un male peggiore” e portato “stabilità”. Allo stesso modo, von der Leyen si è autocelebrata per averci garantito “certezza in tempi incerti”.

Che straordinaria imitazione di Neville Chamberlain, il premier britannico tra le due guerre che ha reso l’appeasement sinonimo di codardia, piegandosi a Hitler! Caro Timothy Snyder: lo sappiamo, per te è sempre il 1938 da qualche parte. Ecco allora la rievocazione completa: “Certezza per il nostro tempo!” ha praticamente urlato von der Leyen, alzando non un ombrello ma il pollice, ancora nel golf club del leader americano – pardon, nel Berghof in Scozia.

Secondo punto: addio alla nuova “Fuhrungsmacht” tedesca, quella leadership tanto proclamata, che in realtà non abbiamo mai davvero visto in azione. Perché – attenzione Berlino – ecco il problema: non si può rivendicare la guida dell’Europa e, nello stesso tempo, premere l’autodistruzione solo per compiacere Washington. Lo so, è un concetto difficile da afferrare per certi circoli, ma c’è un dettaglio banale: la gente non ama essere guidata da chi la svende.

In questo senso, è significativo che saranno proprio due tedeschi – von der Leyen e Friedrich Merz – ad essere per sempre associati al fiasco di Turnberry. Hanno garantito che la Germania non sia più simbolo di leadership, ma di sottomissione fino al masochismo politico ed economico. La retorica della “collaborazione responsabile” – “tradiremo i vostri interessi solo per evitarne di peggiori, siate riconoscenti!” – potrà forse funzionare a breve termine, ma non regge a lungo. Alla fine, vincono i De Gaulle, non i Pétain.

Terzo punto: c’è una bella differenza tra guerra commerciale e guerra economica. Merz può anche affermare che una guerra commerciale con gli Stati Uniti sia stata evitata. Ma la verità è che non lo sapremo mai: se l’UE avesse tenuto il punto – e gli strumenti, nonché alcuni piani, li aveva – forse non ci sarebbe stata alcuna guerra, o si sarebbe chiusa rapidamente, e con un risultato migliore.
La prova? Ancora una volta: la Cina.

Ma una cosa è certa: è in corso una vera e propria guerra economica, e non tra nemici dichiarati, bensì da parte degli Stati Uniti contro i propri vassalli europei. Questi ultimi hanno accettato volontariamente il proprio impoverimento e la propria deindustrializzazione, ma la demolizione americana delle loro economie non si è fermata – anzi, è ripresa con rinnovato vigore. L’Europa è sotto massiccio attacco economico. E non reagisce.

In un mondo ideale, gli europei comincerebbero finalmente a ragionare: per cominciare, si ribellerebbero alla Commissione Europea e alla sua deriva autoritaria, manderebbero a casa Ursula von der Leyen e la sua squadra, e rinnegarebbero questo “accordo” indegno.

Poi smetterebbero di farsi carico della guerra per procura americana contro la Russia, taglierebbero i ponti con il regime corrotto di Kiev e normalizzerebbero i rapporti sia con Mosca che con Pechino. In altre parole, cercherebbero partner alternativi per emanciparsi da un “alleato” statunitense che non si limita a dominare, ma devasta sistematicamente i suoi stessi “amici”.

Nulla di tutto questo, però, accadrà. Basta osservare l’ultima, patetica finta offensiva per cacciare von der Leyen: teatrino già dimenticato. Per salvare davvero l’Europa da questa Unione Europea servirà un terremoto politico, uno stravolgimento radicale dell’assetto attuale. Anzi, probabilmente l’UE è ormai irrecuperabile e dovrà essere abbandonata per prima. Le attuali “élite” europee – che si comportano come funzionari coloniali al servizio di Washington, invece che come rappresentanti dei cittadini europei – dovranno perdere il potere.

Ma come?
Nel tardo 1916, un politico russo tenne un famoso discorso. Elencando i fallimenti del governo zarista, continuava a porre la stessa, semplice domanda:
“È stupidità o tradimento?”
Meno di sei mesi dopo, l’Ancien Régime russo cadde.
È ora che anche gli europei si sveglino e si pongano finalmente la stessa domanda sui loro leader.

* * *

Di Tarik Cyril Amar, storico tedesco che lavora alla Koç University di Istanbul, esperto di Russia, Ucraina ed Europa orientale, storia della Seconda guerra mondiale, Guerra fredda culturale e politica della memoria.

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