Ernst Jünger

Quando il «guerrafondaio» Jünger ci spiegò come fare una vera pace

Negli anni Quaranta, l’autore de «Le tempeste d’acciaio» fece circolare clandestinamente un libretto in cui guardava già oltre il conflitto. E spiegava: c’è un’autentica intesa solo se il vincitore rispetta il vinto

PENSIERO FORTE

Negli anni Quaranta, l’autore de «Le tempeste d’acciaio» fece circolare clandestinamente un libretto in cui guardava già oltre il conflitto. E spiegava: c’è un’autentica intesa solo se il vincitore rispetta il vinto

La casa editrice Mimesis ha appena ripubblicato La pace, uno scritto di Ernst Jünger concepito nel 1941 durante l’occupazione di Parigi e che circolò clandestinamente tra gli ufficiali dell’esercito tedesco coinvolti nell’attentato a Hitler del 20 luglio 1944, per poi venire infine ufficialmente pubblicato nel 1945. Ne riportiamo qui un estratto.

di Ernst Jünger

Forse mai prima d’oggi una generazione, i suoi spiriti riflessivi e i suoi uomini guida sono stati investiti di una responsabilità tanto grande come ora che questa guerra volge al termine.

Certo nella nostra storia non sono mai mancate le decisioni difficili e gravide di conseguenze. Mai però da queste era dipeso il destino di un numero così enorme di persone. La conclusione di questa pace interesserà, nel bene e nel male, chiunque viva sul pianeta, e non lui soltanto, ma anche i suoi lontani discendenti. Si può ben dire che questa guerra (la seconda guerra mondiale, ndr) sia stata la prima opera collettiva dell’umanità. La pace che la conclude dovrà essere la seconda. I maestri che la ristabiliscono dal caos devono non soltanto verificare e migliorare i vecchi edifici, ma crearne anche di nuovi che li completino superandoli. Dipenderà da loro se nella nuova casa saranno gli spiriti buoni a governare e se gli uomini vi dimoreranno in libertà e agiatezza o se ancora nei sotterranei si nasconderanno, funeste, prigioni e camere di tortura .

«Il futuro non si può basare su discordia, persecuzione, odio del nostro tempo»

Se dunque la pace deve portare a tutti prosperità, occorre allora che posi su fondamenta semplici e universali. Non può essere solo un’opera politica e spirituale pur nel senso più elevato, ma deve essere in pari tempo la creazione di forze positive, prodighe. Perciò, detto con le parole della logica, dipende da princìpi e, in termini teologici, da formule sacre. Quale sarà ora la formula sacra della nostra riflessione? Sarà questa: la guerra deve portare frutto a ciascuno. E dunque, se la guerra deve portare frutto a ciascuno, in primo luogo occorre che ci chiediamo da quale seme più tardi germoglierà tale raccolto. Non potrà nascere dalla discordia, dalla persecuzione, dall’odio, dalle ingiustizie del nostro tempo. Questo è il grano cattivo che è stato seminato in abbondanza e di cui vanno estirpate le tracce. Il vero frutto può crescere solo dal patrimonio comune dell’uomo, dal suo nucleo migliore, dal suo sostrato più nobile, disinteressato. Questo va cercato là dove, senza pensare a se stesso e al proprio bene, egli vive e muore per altri, per altri offre sacrifici. Ma tutto ciò si è verificato in abbondanza; un grande tesoro di sacrifici si è accumulato a fondamento della nuova costruzione del mondo.

Il sacrificio – chiunque lo ha certo avvertito – fu l’azione cui prese parte incondizionatamente anche l’ultimo e il più semplice degli uomini. Le cose avevano un andamento incalzante, funesto, al quale concorrevano negligenze ed errori di molte generazioni, non solo dell’attuale: spingevano verso il fuoco, in esso volevano purificarsi, depurarsi. Così anche chi era animato dalla migliore volontà di volgerle ancora al bene, presto si vide giunto al limite. Agli innumerevoli e ai senza nome non rimase che portare con onestà il fardello nel posto che il destino aveva loro assegnato. E nella memoria dei tempi più lontani rimarrà impresso l’immane spettacolo di come, in tutti i Paesi, quando giunse l’ora essi si misero in marcia verso il combattimento ai confini, verso la battaglia delle navi sugli oceani, verso l’incontro mortale degli stormi nell’aria. In ogni popolo, in ogni esercito si ebbero azioni spettacolari in gran numero e alla gloria militare già provata vennero ad aggiungersi nuovi allori. In questa lotta tra giganti ciascuno poteva essere fiero dell’avversario; e quando col tempo l’ostilità andrà stemperandosi, cresceranno la stima, anzi il segreto amore che si instaura tra vincitore e vinto.

Quanto ai contenuti, furono gli stessi. Dietro i fronti vermigli che per la prima volta hanno saldato il globo con cuciture incandescenti si stendevano le grigie profondità senza luce degli eserciti del lavoro. In essi si è assommato il più grande contributo che gli uomini abbiano mai diretto a uno scopo. Per sempre, colmi di riconoscenza, di commozione dovremo pensare a questi uomini e donne, ai loro giorni stentati in stanze tetre, alle loro veglie notturne in città oscure, al loro operare pieno di abnegazione, oppresso fin nel profondo dall’ansia per la sorte di fratelli, sposi, figli.

«Il seme del domani va cercato là dove c’è chi si sacrifica senza pensare a sé»

Innumerevoli sono morti in questo modo, divorati dall’opera troppo grave, piegati dal fardello e dall’affanno, spentisi come luci di cui nessuno conosce il nome. Il buon grano che qui è stato macinato non può andare perduto; per lungo tempo dovrà fornirci il pane. E ciò accadrà solo se comprenderemo il senso racchiuso in questo travaglio. Non sta nel fatto che grazie a esso sono stati creati strumenti di morte e annientamento, strumenti per abbattere uomini, affondare navi, distruggere città in gran numero. In fondo a questi cuori era assai più vivo il senso del dono autentico, del sacrificio autentico, i cui fiori e frutti crescono più alti che nel mondo dell’odio. Così, ciò che è sgorgato da fonti disperse e nondimeno pure, dovrà confluire nella buona pace. Col soccorso della ragione dovrà realizzarsi ciò che, pur se in modo confuso, viveva potente nelle aspirazioni di milioni di uomini, in qualunque Paese della terra il destino ha voluto nascessero: un regno di pace più grande e migliore.

La Verità, 29 giugno 2022

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