I critici hanno accusato Tommaso d’Aquino di aver elaborato una filosofia della bellezza astratta e priva di basi empiriche, fondata su presupposti teologici. Tuttavia, tali accuse non reggono a un esame attento. Tommaso, seguendo Aristotele, sosteneva che la conoscenza umana inizia dai sensi e procede dal noto verso l’ignoto. Partire dalla bellezza divina—che in sé è inconoscibile—contraddirebbe l’intera sua epistemologia. Inoltre, egli ha sempre distinto nettamente tra filosofia e teologia, insistendo sul fatto che il filosofo non deve fondare le proprie conclusioni su verità rivelate. Le sue riflessioni sulla bellezza divina derivano dall’osservazione: l’armonia, la chiarezza e la proporzione presenti nella creazione rimandano alla loro causa divina.
L’estetica di Tommaso parte dal fatto empirico che alcune cose sono belle. Egli osserva che la bellezza diletta quando è conosciuta e, a partire da questa constatazione, elabora una teoria fondata sulla percezione umana. La bellezza, a differenza della bontà, riguarda l’intelletto oltre che la volontà, e si riferisce alla causalità formale piuttosto che a quella finale. Egli identifica la bellezza con l’ordine, l’integrità, la proporzione e la chiarezza—tutti elementi tratti dall’esperienza sensibile, soprattutto del corpo umano, ma estesi anche agli animali e al mondo materiale. Solo gli esseri umani provano diletto per la bellezza in quanto tale, grazie alla loro razionalità, il che conferma il carattere soprasensibile della bellezza.
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di Francis J. Kovach
University of Oklahoma
I. La filosofia della bellezza, come ogni autentica filosofia, deve avere una base empirica. Questa è una verità riconosciuta e sottolineata da numerosi pensatori e studiosi di estetica contemporanei—sia scolastici¹ che non scolastici.² Per questo motivo, è motivo di seria preoccupazione per il filosofo tomista della bellezza il fatto che talvolta estetologi e storici dell’arte muovano accuse di costruzione non empirica e di apriorismo teistico all’estetica medievale in generale,³ e alla filosofia della bellezza di Tommaso d’Aquino in particolare.⁴ A peggiorare le cose, queste accuse hanno ricevuto ulteriore sostegno da una fonte piuttosto inaspettata, ossia da autori neoscolastici o perfino neotomisti, sia di vecchia che di nuova generazione, che nei loro manuali fanno cose come elencare categoricamente i tre principi della bellezza di Tommaso senza alcun tentativo di giustificare tale teoria in modo empirico,⁵ oppure adottare la teoria tomista della bellezza pur ammettendone apertamente le difficoltà,⁶ o ancora fare osservazioni che, sebbene vere in sé, tendono a implicare il carattere autoritativo o aprioristico della filosofia tomista della bellezza.⁷
È quindi evidente che bisogna indagare se Tommaso sia effettivamente partito dalla bellezza divina per arrivare a quella creata, e se abbia ignorato o trascurato fondamenti empirici nella costruzione della sua filosofia della bellezza.
II. Delle due accuse sopra menzionate, la prima e più specifica sarà affrontata in tre passaggi, mediante due argomentazioni più o meno aprioristiche e una di tipo aposterioristico; la seconda, più generica, sarà confutata mediante l’elencazione di alcuni fatti empirici e la dimostrazione di come Tommaso ne abbia ricavato i vari componenti della sua filosofia della bellezza.
A. L’accusa di apriorismo teistico
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Tommaso condivideva pienamente la dottrina aristotelica secondo cui, poiché il processo naturale dell’apprendimento consiste nel passare dal noto all’ignoto o dal più noto al meno noto,⁸ e poiché, per noi, le cose sensibili sono conosciute per prime⁹ e meglio,¹⁰ il giusto processo di apprendimento procede dalle cose sensibili a quelle sovrasensibili.¹¹ Ma partire dalla bellezza divina, causa universale per eccellenza, per giungere alla bellezza creata, significa procedere in senso opposto.¹² Se dunque questa teoria è vera, l’apriorismo teistico in questione rappresenta un’impossibilità epistemologica generale e, anche se fosse possibile, costituirebbe una grave e diffusa violazione di uno degli insegnamenti più fondamentali e più frequentemente ripetuti da Tommaso.
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Tommaso insegna che, sebbene Dio in Sé sia l’essere più intelligibile di tutti, Egli non è affatto intelligibile per noi a causa della limitazione naturale dell’intelletto umano,¹³ se non attraverso gli esseri materiali in quanto Sue creature o effetti, e Lui, loro principio e causa prima.¹⁴ Inoltre, Tommaso sostiene che, anche in questo modo indiretto, possiamo comprendere Dio più facilmente e meglio in maniera negativa piuttosto che affermativa;¹⁵ poiché non possiamo mai realmente comprendere ciò che Dio è, ma solo ciò che non è, e come le altre cose sono in relazione a Lui.¹⁶ Procedere dunque dalla bellezza divina come principio di ragionamento nella costruzione della propria filosofia della bellezza, come si accusa Tommaso di fare, sarebbe non solo contrario alla sua filosofia di Dio, ma anche una specifica impossibilità epistemologica.¹⁷
Qualcuno potrebbe forse suggerire che Tommaso abbia aggirato tale impossibilità epistemologica semplicemente utilizzando alcuni dati della rivelazione concernenti la bellezza divina¹⁸ come principi della sua filosofia della bellezza. Poiché è lui stesso ad ammettere che affermiamo molte cose vere su Dio che il filosofo non può indagare mediante la ragione.¹⁹ A ciò si può rispondere richiamando la distinzione formale che Tommaso ha tracciato tra ragione e fede,²⁰ e tra filosofia e teologia,²¹ affermando che, secondo lui, il filosofo non deve mai usare dati rivelati come principi delle sue conclusioni—un consiglio e un monito che egli stesso seguì con meticolosa coerenza e attenzione.²²
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Mentre i due argomenti finora trattati sono aprioristici in quanto dimostrano che Tommaso non avrebbe potuto procedere, come si sostiene, dalla bellezza divina a quella creata, né in generale né almeno senza contraddirsi su questioni fondamentali, questo terzo argomento mira a dimostrare che, di fatto, la teoria tomista della bellezza divina ha radici empiriche.
(a) I testi che contengono caratterizzazioni positive della bellezza di Dio parlano del fatto che Dio è bello, di quanto sia grande la Sua bellezza, di cosa essa provoca nell’uomo, e perfino di cosa essa sia essenzialmente in relazione a una Persona divina.
In uno di questi testi, il fatto che Dio sia bello è desunto dal fatto che Egli è causa della consonanza e della chiarezza che si trovano in tutte le cose.²³ In un altro, questa bellezza divina è affermata come la più grande tra tutte sulla base empirica che ogni bellezza dipende dalla forma o figura.²⁴ In un altro ancora, Tommaso conclude formalmente, a partire dall’attrattiva gradevole della bellezza creata, menzionata come fatto comunemente noto, all’attrattiva della bellezza divina. Infine, in due contesti teologici, la tesi secondo cui la seconda Persona divina possiede il carattere specifico della bellezza è dimostrata a partire dai tre principi metafisici della bellezza,²⁶ ciascuno dei quali, come si mostrerà,²⁷ è conosciuto empiricamente.
(b) La caratterizzazione negativa della bellezza divina da parte di Tommaso ha, se possibile, basi ancora più chiaramente empiriche, dato che egli continua a sottolinearlo.
Questa caratterizzazione inizia con l’affermazione che la bellezza di Dio è eccedente in due modi, ossia come “bellissimo” e “super-bello”, anche se “questi due eccessi non si riscontrano nelle cose create.”²⁸ Tommaso procede quindi a spiegare il termine “bellissimo” (pulcherrimus), riferito a Dio, in termini di mancanza o assenza di ogni difetto che si trova di solito nelle bellezze create, ossia mutevolezza e limitazione. Infatti, a differenza delle cose corruttibili, Dio è sempre e nello stesso modo bello, senza generazione né corruzione, aumento o diminuzione. Allo stesso modo, Dio non è bello in una parte o in un tempo, o in relazione a una cosa o in un luogo, e non bello in un’altra parte, tempo, relazione o luogo, come invece si constata comunemente per le cose particolari di questo mondo.²⁹
B. L’accusa di costruzione non empirica
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Il fatto empirico più fondamentale riguardante la bellezza è questo: che esistono cose belle nel nostro mondo. Nei testi di Tommaso si trovano numerosi passaggi che mostrano come egli fosse pienamente consapevole di questo fatto basilare.³⁰ In conseguenza di ciò, la sua filosofia della bellezza è epistemologicamente realista e metafisicamente oggettivista. L’espressione più chiara di questo atteggiamento è la seguente osservazione: “Le cose non sono belle perché le amiamo; le amiamo perché sono belle.”³¹
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Riconosciuta empiricamente la realtà oggettiva della bellezza nelle cose materiali, la domanda successiva che sorge spontanea è: “Che cos’è la bellezza?” Tommaso viene spesso citato per aver definito la bellezza come “ciò che diletta quando è conosciuto.”³² A qualcuno ciò può sembrare un postulato arbitrario o una dottrina autoritativa. Tuttavia, il primo testo cronologico che tratta questa questione recita: “Sono dette belle le cose che dilettano quando sono conosciute.”³³ Questo testo non lascia dubbi sul fatto che Tommaso giunse a questa caratterizzazione fondamentale della bellezza tramite osservazione, ossia in modo empirico, piuttosto che per postulazione aprioristica.³⁴
D’altra parte, una volta giunto a questa spiegazione della bellezza in termini del suo effetto sull’osservatore, Tommaso usò questa conoscenza iniziale come punto di partenza della sua intera filosofia della bellezza e, più precisamente, per trattare una serie di questioni psicologiche e metafisiche.
(a) L’uso psicologico di questa definizione iniziale avviene mediante l’aggiunta all’osservazione primordiale della natura della bellezza di un noto principio psicologico, ossia che ogni cosa, e dunque anche i sensi, prova piacere solo in oggetti a essi proporzionati,³⁵ da cui conclude alla giusta proporzione come natura soggettiva e relazionale della bellezza.³⁶
(b) Un uso altamente speculativo e metafisico della stessa definizione iniziale si trova nella dottrina tomista secondo cui, sebbene il bene e il bello siano realmente identici,³⁷ differiscono virtualmente (ratione).³⁸ A dimostrazione di ciò, Tommaso cita due fatti osservabili: primo, che il bene è ciò che semplicemente diletta l’appetito; secondo, che, di fatto, sono dette belle quelle cose che dilettano quando sono conosciute.³⁹ Da ciò Tommaso deduce le seguenti dottrine:
(1) mentre il bene ha riferimento solo alla volontà, il bello ha riferimento sia all’intelletto sia alla volontà; e
(2) mentre il bene appartiene all’ordine della causalità finale, il bello appartiene propriamente all’ordine della causalità formale.⁴⁰
Questo ragionamento audace e preciso, dal fatto empirico (di ciò che chiamiamo bello), attraverso l’epistemologia (la conoscenza come assimilazione della forma), fino alla metafisica (la causalità formale del bello e la sua distinzione virtuale dal bene), conduce Tommaso infine alle sue dottrine metafisiche riguardanti il rapporto tra bellezza e bontà⁴¹ e la trascendentalità della bellezza.⁴²
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Un ulteriore fatto empirico osservato e utilizzato da Tommaso è che chiamiamo belle principalmente le cose visibili e udibili.⁴³ A questo proposito, Tommaso non si accontenta di osservare quanto bene questo fatto si accordi con la sua dottrina empiricamente dedotta della relazione formale della bellezza con l’intelletto, e con la sua teoria aristotelica secondo cui la vista e l’udito sono i sensi più cognitivi.⁴⁴ Invece, egli usa questo fatto osservato per elaborare la sua teoria dell’esperienza estetica, in parte psicologica e in parte epistemologica. Secondo tale teoria, la vista e l’udito sono le fonti principali e condizioni indispensabili dell’esperienza estetica;⁴⁵ la conoscenza intuitiva e il piacere disinteressato, la sua essenza;⁴⁶ e la conoscenza abituale e l’amore (desiderio) della bellezza, i suoi effetti.⁴⁷
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Un quarto fatto empirico osservato da Tommaso è che nessun animale irrazionale prova piacere per la bellezza in quanto bellezza. Aggiungendo questo fatto a quello già menzionato, secondo cui le cose che danno piacere conoscitivo, e in particolare le cose visibili e udibili, sono dette belle, Tommaso poteva concludere immediatamente che, tra tutti gli animali, solo l’uomo prova piacere per la bellezza in quanto tale.⁴⁸ Alla luce della sua psicologia, secondo cui l’uomo è un animale razionale, egli poté facilmente spiegare questa verità estetica con la proprietà epistemologica relativa della bellezza, chiamata conoscibilità soprasensibile. Tuttavia, poiché la conoscibilità di una cosa dipende non solo dalla natura del conoscente ma anche dalla natura della cosa conosciuta, era evidente la necessità, oltre a questa spiegazione psicologico-epistemologica, di una spiegazione oggettiva e metafisica per questa proprietà della bellezza. Tommaso fornisce questa spiegazione mediante una definizione essenziale oggettiva della bellezza. Infatti, egli definisce la bellezza in modo sintetico come ordine⁴⁹ e in modo analitico come ciò che richiede integrità, proporzione e chiarezza;⁵⁰ e tutti questi principi della bellezza, soprattutto l’ordine⁵¹ e la proporzione,⁵² sono chiaramente conoscibili solo in modo soprasensibile.
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Come giunse Tommaso a queste definizioni della bellezza?⁵³ Alla luce di quanto detto finora, la risposta non sorprende affatto: tutti e tre i principi analitici della bellezza, cioè integrità,⁵⁴ proporzione⁵⁵ e chiarezza,⁵⁶ così come la definizione sintetica della bellezza come ordine,⁵⁷ si basano su fatti empirici che Tommaso menziona esplicitamente. In un passo, egli parla perfino di osservazioni attente come punto di partenza necessario del nostro pensiero, che guidano la mente verso definizioni essenziali della salute e della bellezza.⁵⁸
I fatti empirici osservati e menzionati da Tommaso erano sufficientemente ampi da permettere la deduzione di una definizione metafisica della bellezza? Bisogna ammettere che la grande maggioranza dei testi contenenti riferimenti empirici riguarda solo la bellezza del corpo umano. Tuttavia, alcuni testi mostrano che Tommaso considerò, nelle sue speculazioni estetiche, anche la bellezza di cose diverse dal corpo umano, come il corpo animale in generale e l’essere materiale in generale.⁵⁹ In tal modo, egli poté convincersi con ragione che le sue definizioni essenziali avevano una base empirica sufficientemente ampia da essere universalmente valide.
III. In conclusione, si può affermare con verità che nessuna delle accuse rivolte contro la filosofia tomista della bellezza risulta giustificata: né l’accusa specifica di apriorismo teistico né quella, più generica, di mancanza di fondamenti empirici. Tali accuse derivano dunque o da una conoscenza insufficiente della filosofia di Tommaso, o da fraintendimenti.
D’altra parte, chi conosce e comprende adeguatamente il pensiero di Tommaso, indipendentemente dalle proprie posizioni filosofiche o estetiche, riconoscerà volentieri l’influenza continua, perfino sulle speculazioni estetiche contemporanee,⁶⁰ di questa teoria estetica medievale ben fondata empiricamente e logicamente ben costruita.
NOTE
1 «Potremmo iniziare il nostro studio del bello con una definizione metafisica dello stesso, ma farlo ci esporrebbe al sospetto di partire da concetti a priori. Iniziamo invece dall’osservazione…» (J. Card. Mercier, A Manual of Modern Scholastic Philosophy, Vol. I. General Metaphysics. Londra, K. Paul, Trench, Trubner; St. Louis, Mo. Herder, 1932, p. 504.) «La filosofia dell’arte dovrebbe seguire il metodo induttivo; dovrebbe risalire dall’osservazione ai principi e alle leggi… L’osservazione dei fatti artistici è il punto di partenza necessario per uno studio della bellezza.» (Maurice De Wulf, Art and Beauty. Trad. di suor Mary Gonzaga Udell, O.P. St. Louis, Herder, 1950, p. 14 sgg.) Vedi anche Leonard Callahan, A Theory of Esthetic according to the Principles of St. Thomas Aquinas (The Catholic University of America Press. Washington, D.C., 1947), p. 16.
2 Louis Arnauld Reid, ad esempio, scrive: «Un pericolo costante della filosofia dell’arte è una speculazione analitica troppo indipendente, che si è allontanata dal dato originario dell’esperienza estetica vissuta.» («A Reply to Mr. Morris-Jones», cioè alla recensione da parte di Morris-Jones di Ways of Knowledge and Experience di L.A. Reid, pubblicata in The British Journal of Aesthetics, I, n. 4, e ripresa in ibid., II, n. 1, gennaio 1962, p. 67.)
3 Dopo aver definito la filosofia estetica del Medioevo un «postulato», B. Bosanquet aggiunge: «Ma… dalla totale assenza… di uno studio teorico rivolto all’analisi concreta della bellezza austera o recondita nella natura o nell’arte, possiamo dedurre che per la teoria medievale la bellezza dell’universo era piuttosto un’astrazione…» (A History of Aesthetic. Meridian Books 36. Terza ristampa. Cleveland e New York, The World Publishing Co., 1961, p. 149). «Il cambiamento più evidente, quando arriviamo ad Addison e agli altri britannici, è l’abbandono dell’approccio metafisico von Oben herab e l’introduzione dell’approccio psicologico e introspettivo.» (Jerome Stolnitz, «On the Origins of ‘Aesthetic Disinterestedness’», Journal of Aesthetics and Art Criticism, XX/2, inverno 1961, p. 139.) Cfr. anche D. M. Robb, J. J. Garrison, Art in the Western World, terza edizione. New York, Harper and Row, 1953, p. 172.
4 L’accusa di apriorismo non empirico è stata espressa, tra gli altri, da B. Croce, che afferma senza mezzi termini che Tommaso semplicemente pose tre requisiti (ponere tria requisiti) per la bellezza (Aesthetic. Trad. D. Ainslie. New York, Macmillan, 1922, p. 176). Per la citazione italiana, vedi l’edizione di Bari: G. Laterza, 1958, p. 192; e, in modo più moderato ma più generale, da Harold Osborne: «La teoria (estetica) di San Tommaso è difficile da comprendere perché… non sembra basarsi su altro che una comprensione superficiale dell’esperienza estetica.» (Aesthetics and Criticism. New York, Philosophical Library, 1955, p. 208). Per l’accusa di apriorismo teistico, vedi ad esempio Gilbert-Kuhn («L’armonia che piace agli esseri umani nella natura e negli oggetti artificiali non è realmente una proprietà di queste cose come entità indipendenti, ma un riflesso della loro origine divina.» A History of Esthetics. Edizione riveduta. Londra, Thames and Hudson, 1956, p. 130), e l’interessante resoconto di Thomas Munro (Toward Science in Aesthetics, New York, The Bobbs-Merrill Company, 1956, p. 268 sgg.). Collegate a queste due accuse sono le frequenti affermazioni secondo cui, invece di utilizzare una base empirica, Tommaso si sarebbe affidato all’autorità e alla dottrina di Aristotele (con o senza Platone), di Agostino o dello Pseudo-Dionigi.
5 Cfr. ad esempio Michael De Maria (Philosophia Peripatetico-Scholastica, I: Philosophia prima seu Ontologia. Terza edizione. Roma, Ph. Cuggiano, 1904, p. 397 sgg.); Karl Frick (Ontologia. Sesta edizione. Friburgo in Brisgovia, Herder, 1929, p. 235); Michael W. Shallo (Lessons in Scholastic Philosophy, Philadelphia, P. Reilly, 1929, p. 202); e John Rickaby (General Metaphysics, Stonyhurst Philosophical Series, terza edizione. Londra-Toronto, Longmans, Green, 1930. Libro I, p. 149 sgg.).
6 J. J. Urráburn dichiara, ad esempio: Solaque me tenet S. Thomae auctoritas, ne penitus eidem (sc. difficultati) succumbam. [Institutiones Philosophicae, II: Ontologia. Vallissoletti, Lutetiae Parisiensis et Romae, 1891, p. 535]; L. De Raeymaeker ammette, a proposito della definizione metafisica della bellezza di Tommaso: Quomodo praestari debet in concreto, non est facile dictu (Metaphysica generalis, I. Bovanij, 1933, p. 89); ed É. Gilson afferma, riguardo alla claritas, terzo principio analitico della bellezza secondo Tommaso: «Poiché ci viene data (scil. da Tommaso) come un fatto, la cosa saggia da fare è accettarla come tale.» (The Elements of Christian Philosophy, New York, The New American Library, 1963, p. 178).
7 Affermazioni secondo cui Tommaso elenca certi requisiti della bellezza senza ulteriori spiegazioni su come o perché lo faccia, tendono a suggerire un trattamento autoritativo, non dimostrato e dogmatico da parte sua, e portano inevitabilmente ad accuse come quella di N. T. Noon, secondo cui la dottrina della trascendentalità della bellezza è «un’assunzione categorica» di Tommaso (Joyce and Aquinas, New Haven e Londra, Yale University Press, 1957, p. 24).
8 Aristotele, Phys., I, 1, 184 a 16–18; De anima, II, 2, 413 a 11; Tommaso, Comm. L. 1. n. 7 e 6; In I Post. Anal., 4, n. 43 bis; In II De anima, L. 3. n. 245.
9 Tommaso, In I Phys., L. 1, n. 7; In I Post. Anal., L. 8, n. 71; L. 4, n. 43; L. 42, n. 372; De veritate, I, 11.
10 Aristotele, Metaph., I, 2, 982 a 23–24; Tommaso, Comm., L. 2, n. 45; In I Post. Anal., L. 4, nn. 42 sgg.; ST II–II, 172.
11 Aristotele, Post. Anal., II, 19, 100 a 3–14; Metaph., I, 1, 980 a 28–981 a 12; Tommaso, In II Post. Anal., L. 20, n. 592; In I Metaph., L. 1, nn. 10–17; anche In I Post. Anal., L. 42, n. 378; e L. 30, n. 251.
12 Cfr. l’idea di Dio come causa universalissima; Scg. II, 15; ST II–II, 172, 3; De potentia, 7, 2; In I Metaph., L. 2, n. 46; e In IV Metaph., L. 6, n. 599.
13 ST II–II, 24, 2, ad 2; I, 12, 1, ad 2.
14 ST I, 13, 1c e ad 2; 86, 2, ad 1; 13, 2c e ad 3; 13, 4c; I–II, 93, 2, ad 1.
15 ST I, 13, 1; 84, 7, ad 3; Scg. I, 14, 117.
16 Scg. I, 30, 278. Cfr. ST I, 1, 9, ad 3.
17 De divinis et intelligibilibus rebus loqui non possumus nisi secundum modum rerum sensibilium, a quibus cognitionem accipimus (ST I, 41, 1, ad 2).
18 Ad esempio: Dio è bello (Sal. 92,1; 95,6; Is. 35,2); la bellezza di Dio è suprema (Sap. 13,3); Dio è causa efficiente della bellezza di ogni creatura (Sap. 13,3; Sir. 42,21; 43,1), inclusa quella dell’uomo (Giud. 10,4; Sal. 29,8; Ez. 31,9); e quindi la bellezza della creatura riflette quella di Dio (Sap. 13,5); ecc.
19 ST II–II, 1, 8, ad 1.
20 ST I, 2, 2, ad 1; 12, 13, ad 3; e I–II, 67, 3. Cfr. ST II–II, 174, 2, ad 3.
21 ST I, 1, 1, ad 2. Cfr. ibid., 1c e Scg. II, 4.
22 Cfr. ad esempio la sua posizione filosofica sulla questione dell’eternità o temporalità del mondo: De potentia, 3, 14, in opp., ad 8; ST I, 46, 2.
23 Deus dicitur pulcher sicut universorum consonantiae et claritatis causa. (ST II–II, 145, 2). Cfr. De divinis nominibus, 4, 5, nn. 339 e 349.
24 In Psalm. 26, 3. Cfr. De div. nom., 4, 5, nn. 341 e 343.
25 Scg. II, 2, n. 861.
26 In I Sent., 31, 2, 1, sol.; ST I, 39, 8.
27 Vedi i testi nelle note 54–57 qui sotto.
28 De div. nom., 4, 5, n. 343. Cfr. ibid., n. 337.
29 In questo lungo passo del Commento al Dionigi (De div. nom. 4, 5, n. 345, simile a ibid., n. 346), si trovano i seguenti riferimenti empirici: sicut de rebus corruptibilibus apparet; sicut in rebus corporalibus apparet; sicut in rebus particularibus contingit quandoque; sicut contingit in his, quorum pulchritudo cadit sub tempore; sicut contingit in omnibus quae sunt determinata ad unum determinatum usum vel finem; e quod quidem in aliquibus contingit.
30 Tali testi affermano uno dei seguenti punti:
(1) Le cose possiedono bellezza (es.: In Evangelium Ioannis 2:1, L. 2; In Isaiae 35);
(2) Le cose fanno qualcosa o possiedono qualcosa grazie alla loro bellezza (es.: De veritate 26, 6; In Iob, cap. 28, L. 2);
(3) Qualcosa accade alla bellezza delle cose (es.: In Psalm. 25, 5; In IV Sent. 16, 2, 2, IV, ad 1; ST II–II, 142, 2, 1a);
(4) La bellezza di una cosa produce o causa qualcosa (es.: ST III, 6, 1, ad 3; Quodlibet, X, 2, 1, ad 3; In IX Ethicorum, L. 14, n. 1944).
Per un trattamento completo della questione, vedi l’opera dell’autore: Die Ästhetik des Thomas von Aquin (Berlino, W. de Gruyter, 1961), pp. 87–93.
31 Non enim ideo aliquid est pulchrum quia nos illud amamus, sed quia est pulchrum et bonum, ideo amatur a nobis. (De div. nom., 4, 10, n. 439). Questa affermazione, nella forma in cui si presenta, è stata senza dubbio ispirata da Sant’Agostino (De vera religione, 32, 59. PL 34, 148) e da Boezio (De consolatione philosophiae, II, 5, 134. PL 63, 692 A–693 A).
32 Ad es. J. Maritain, Arte e scolastica (trad. Joseph W. Evans. New York, C. Scribner’s Sons, 1962), p. 23; anche ibid., p. 163 e L’intuizione creativa nell’arte e nella poesia (Cleveland e New York, The World Publishing Co., 1953); H. J. Koren, Introduzione alla scienza della metafisica (St. Louis, Herder, 1955), p. 96; E. Gilson, La pittura e la realtà (Meridian Books 79, 2a ristampa. Cleveland e New York, The World Publishing Co., 1962), p. 175; H. Osborne (op. cit., p. 111); Th. Munro (op. cit., p. 268); Gilbert-Kuhn (op. cit., p. 140); ecc. Più vicini al testo originale sono i casi in cui si usa il plurale, come A. B. Wolter (Secondo San Tommaso “pulchra dicuntur quae visa placent”, in Summula Metaphysica, Milwaukee, Bruce, 1958, p. 156) e C. N. Bittle (Il dominio dell’essere, Milwaukee, Bruce, 1939, p. 217).
33 Pulchra enim dicuntur quae visa placent (ST I, 5, 4, ad 1).
34 Per questa ragione, il miglior modo per caratterizzare tale affermazione di Tommaso nella Summa theologiae (I, 5, 4, ad 1) è considerarla un’affermazione di fatto fondamentale sulla bellezza, come fanno P. F. Thomas M. Zigliara (Summa Philosophica, I, Logica et Ontologia, 2a ed., Lione, Ve Briday, 1877, p. 409); P. Coffey (Ontologia, New York, P. Smith, 1938, p. 192); e G. B. Phelan («Il concetto di bellezza in San Tommaso d’Aquino», in Aspects of the New Scholastic Philosophy, a cura di C. A. Hart, New York, Benziger Brothers, 1932: Essays Philosophical, 7, p. 140).
35 ST II–II, 45, 3; I, 5, 4, ad 1; De veritate, 25, 1.
36 Pulchra enim dicuntur quae visa placent, unde pulchrum in debita proportione consistit. (ST I, 5, 4, ad 1).
37 Tale affermazione è essa stessa fondata empiricamente: bonum et pulchrum sunt idem, quia omnia desiderant pulchrum et bonum. (De div. nom., 4, 5, n. 355); Omnibus est pulchrum et bonum amabile (ST I–II, 26, 1, ad 3; II–II, 145, 2, ad 1).
38 ST I, 5, 4, ad 1; I–II, 27, 1, ad 3.
39 ST I–II, 27, 1, ad 3; I, 5, 4, ad 1. — Per il carattere empirico di questa verità, vedi ST I–II, 8, 1, sed contra e 28, 6, sed contra.
40 De div. nom., 4, 5, n. 356; ST I, 5, 4, ad 1; I–II, 27, 1, ad 3.
41 La gradevolezza o bontà è la materia (genus) della bellezza; la conoscibilità o claritas, la sua forma o differentia. Vedi De veritate, 22, 1, ad 12; De div. nom., 4, 5, n. 356; ST I–II, 27, 1, ad 3.
42 De div. nom., 4, 22, n. 590. Confronta anche ibid., 1, 2, n. 59 con ibid., 4, 5, nn. 337, 355 e 11, 4, n. 938. Per gli argomenti di Tommaso sulla trascendentalità della bellezza, vedi l’opera citata dell’autore, pp. 183–93, e 200–14, nonché il suo articolo «La trascendentalità della bellezza in Tommaso d’Aquino» (Miscellanea Mediaevalia, II: Die Metaphysik im Mittelalter, Berlino, W. de Gruyter, 1963, pp. 386–92).
43 Dicimus enim pulchra visibilia et pulchros sonos. In sensibilibus autem aliorum sensuum non utimur nomine pulchritudinis; non enim dicimus pulchros sapores aut odores. (ST I–II, 27, 1, ad 3. Cfr. In X Ethicorum, L. 6, n. 2028.)
44 Per la prima dottrina, vedi ST I, 5, 4, ad 1; per la seconda, ST I–II, 27, 1, ad 3 e In Psalm. 44, 2.
45 In Psalm. 44, 2; ST I–II, 27, 2.
46 Compendium theologiae, parte I, tratt. 1, cap. 165; Contra impugnatores Dei cultus et religionis, parte II, cap. 6, n. 339.
47 In IX Ethicorum, L. 14, n. 1944; L. 5, n. 1824; e De div. nom., 4, 9, n. 402.
48 ST I, 91, 3, ad 3.
49 In II Sent., 9, 1, 5, sed contra 2a; Scg. III, 71, n. 2473; 72, n. 2842; 139, n. 3142; ST I–II, 49, 4c; II–II, 142, 2c; 145, 3c; 183, 2c; Comp. theol., parte I, tratt. 1, cap. 102, n. 201.
50 ST I, 39, 8c; In I Sent., 31, 2, 1, sol.; e per il principio di proporzione anche In I Sent., 3, 2, exp. prim., part. text.; De div. nom., 4, 5, nn. 339, 349; 4, 6, n. 361; In I Tim. 3, 2, L. 1; ST II–II, 141, 2, ad 3; 145, 2c; 180, 2, ad 3.
51 Scg. II, 24, n. 1006; De caritate, art. 9, 2a.
52 ST II–II, 58, 4c; In I Ethicorum, L. 1, n. 1.
53 Per questa breve sezione dell’articolo, vedi dello stesso autore: «Il ruolo della natura nell’estetica di San Tommaso d’Aquino», in La filosofia della natura nel Medioevo, Atti del III Congresso Internazionale di Filosofia Medievale, 1964 (Milano, Soc. Editrice Vita e Pensiero), pp. 502–508.
54 Nec indicatur homo pulcher, nisi omnia eius membra fuerint decora; turpis autem iudicatur etiam si unum eius membrum fuerit deforme. (De malo, 2, 4, ad 2.) Vedi anche De malo, 8, 4; De regno I, 3, art. 9, ad 16. Un’osservazione complementare si trova in De virtutibus cardinalibus, art. 2, 12a.
55 In corpore (humano) pulchritudo dicitur ex debita proportione membrorum (In I Cor. II, 4, L. 2); Sed pulchritudo non contingit nisi omnia membra sint bene proportionata et colorata (In II Ethicorum, L. 7, n. 320). Cfr. anche In Psalm. 44, 2; Scg. II, 64, n. 1424; e In I Sent., 31, 2, 1, sol.
56 Pulchritudo dicitur ex debita proportione membrorum in convenienti claritate vel colore (In I Cor. 11, 4, L. 2). Cfr. anche In I Sent., 31, 2, 1, sol.; In II Ethicorum, L. 7, n. 320; e ST I, 39, 8c.
57 Patet autem quod… quanto est maior inordinatio in membris, tanto est maior turpitudo. (Scg. III, 139, n. 3142); Non enim est pulchritudo in corpore, nisi omnia membra fuerint decenter disposita; turpitudo autem contingit, quodcumque membrum indecenter se habeat. (De regno, I, 3). Vedi anche De malo, 8, 4c, e ST I–II, 54, 1c.
58 Sed si quis diligenter inspiciat… (Scg. III, 139, n. 3142).
59 Non dicitur animal sanum simpliciter aut pulchrum, nisi secundum omnes partes suas sit tale (ST I–II, 52, 2c). Ad pulchritudinem tria requiruntur: primo quidem integritas sive perfectio; quae enim diminuta sunt, hoc ipso turpia sunt (ST I, 39, 8c).
60 Storici dell’estetica che parlano apertamente della ricchezza e della profondità della filosofia della bellezza di Tommaso, riconoscendole la capacità di influenzare altri, includono William Knight («Qualunque sia il giudizio sulla sua [sc. di Tommaso] teoria, possiamo concordare con P. Vallet che egli ci apre “immensi orizzonti” di pensiero.» The Philosophy of the Beautiful, I, Londra, J. Murray, 1903, p. 45. Cfr. anche p. 136); H. D. Aikin («La definizione tomistica della bellezza potrebbe condurre a riflessioni veramente fruttuose sui fatti osservabili dell’arte e dell’apprezzamento estetico.» Recensione, Journal of Philosophy, 26 agosto 1948, p. 499); Thomas Munro («Si può non condividere i principi fondamentali di un San Tommaso, di un Hegel, … e tuttavia trovare molto da ammirare e accettare nelle loro osservazioni incidentali.» Op. cit., p. 112); e Israel Knox («Questo è il significato immensamente vitale e profondo del concetto tomista di integrità in un’opera d’arte.» The Aesthetic Theories of Kant, Hegel, and Schopenhauer, Londra, Thames and Hudson, 1958, p. 46). Altri storici parlano dell’effettiva influenza dell’estetica tomista, tra cui James L. Jarrett («[Tommaso] ha lasciato osservazioni penetranti sulla bellezza che ancora oggi esercitano una profonda influenza.» The Quest for Beauty, Englewood Cliffs, N.J., Prentice Hall, 1957, p. 10). Alcuni estetologi o filosofi della bellezza ammettono esplicitamente il loro debito verso l’estetica tomista, come James Joyce (Ritratto dell’artista da giovane, 1916) ed É. Gilson (The Arts of the Beautiful, New York, C. Scribner’s Sons, 1965, p. 173. Per l’influenza di Tommaso su Gilson, vedi anche ibid., pp. 169, 177; Painting and Reality, ed. cit., pp. 52, 56, 271, 300, 324–26 e 358). Altri estetologi moderni o contemporanei potrebbero non riconoscere esplicitamente l’influenza tomista, ma essa è chiaramente evidente nelle loro opere: J. Ruskin, H. Taine (vedi su questo S. C. Pepper, The Basis of Criticism in the Arts, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1965, p. 98); J. Maritain (Art et scolastique, terza e ultima edizione 1935; New York, Pantheon Books, 1953), The Responsibility of the Artist (New York, Scribner, 1960); Eric Gill (Beauty Looks After Herself, Londra, Sheed and Ward, 1933); E. I. Watkin (A Philosophy of Form, New York, Sheed and Ward, 1935); Thomas Gilby (Poetic Experience, Londra, Sheed and Ward, 1934); Mortimer J. Adler (Art and Prudence, New York, Longman and Green, 1937; Poetry and Politics, Pittsburgh, Pa., Duquesne University Press, 1965); Robert M. Ogden (The Psychology of Art, New York, Scribner, 1938, p. 26); Herbert E. Cory (The Significance of Beauty in Nature and Art, Milwaukee, Bruce, 1947); Paul J. Marcotte (The God Within, Ottawa, The Runge Press, 1964); ecc. Tutto ciò sembra confermare la definizione di Morris Weitz, che include l’estetica neotomista tra i «due movimenti filosofici più potenti» del pensiero contemporaneo (Philosophy of the Arts, Cambridge, Massachusetts, Harvard University Press, 1950, p. 291).
FONTE: The Southwestern Journal of Philosophy, Vol. 2, N. 3 (Inverno 1971), pp. 93–102.