Effusioni Impotenti. La Dichiarazione Congiunta su Gaza

Fino a quando Israele non sarà ridotto a ciò che esso stesso sembra voler diventare — uno Stato paria, isolato, delegittimato, assediato — fino a quando il suo esercito non verrà contenuto, la sua economia disarmata, la sua arroganza geopolitica messa all’angolo, l’industria della morte e dello spossessamento continuerà a macinare cadaveri.

L’impotenza si manifesta in molteplici forme. Di fronte ai massacri quotidiani, alla fame deliberatamente inflitta, allo sradicamento sistematico cui viene sottoposto il popolo palestinese nella Striscia di Gaza con una ferocia primordiale, l’impotenza della comunità internazionale — inerte, paralizzata, orba — di fronte all’azione dello Stato israeliano ha assunto ormai i contorni del ridicolo, della caricatura di se stessa. Crescono, si moltiplicano, si moltiplicano all’infinito gli appelli a far cessare la guerra, anche tra gli alleati più fedeli di Israele, ma sul piano della realtà effettuale — della prassi, della politica, del potere — nulla, assolutamente nulla cambia. Quel che conta sono le dichiarazioni — vuote, enfatiche, cosmetiche — che parlano a una coscienza ferita, ma che nulla smuovono, nulla incidono, nulla modificano.

Una di queste — l’ennesima — è stata pubblicata il 21 luglio: l’ultima di quelle che Shakespeare avrebbe forse definito, per bocca di Macbeth, “tales told by idiots, full of sound and fury, signifying nothing”*. Ed erano parecchi, stavolta, gli idioti: 28 firmatari, tra cui i ministri degli Esteri di 27 Paesi e, immancabile, il Commissario europeo per l’Uguaglianza e la Gestione delle Crisi. Tutti europei, tranne l’Australia. “Noi, i sottoscritti, ci uniamo con un messaggio semplice e urgente: la guerra a Gaza deve finire ora”.

Poi, come sempre, segue la litania dell’ovvio. “Il modello israeliano di distribuzione degli aiuti è pericoloso, alimenta l’instabilità e priva i gazawi della dignità umana.” L’“elargizione a goccia degli aiuti” e il “massacro disumano di civili, compresi i bambini, mentre cercano di soddisfare i più elementari bisogni di cibo e acqua”, meritano — udite udite — una condanna. La morte di oltre 800 palestinesi (dato ovviamente per difetto) mentre cercavano aiuto è “sconvolgente”. Persino qui, il linguaggio resta anemico, svuotato, burocratico. Il “rifiuto israeliano di fornire assistenza umanitaria essenziale alla popolazione civile è inaccettabile”. E il governo israeliano “deve rispettare i suoi obblighi secondo il diritto umanitario internazionale”.

Ci si spinge persino a chiedere a Israele di ripristinare il flusso di aiuti e consentire alle Nazioni Unite e alle ONG umanitarie di riprendere il lavoro nella Striscia. Richiesta surreale, se si considera che proprio questo Israele — proprio questo governo Netanyahu — persegue scientemente un programma sistematico di fame e privazione controllata.

Per riequilibrare — per non turbare troppo la geometria morale dell’Occidente — la dichiarazione menziona anche gli ostaggi israeliani ancora detenuti da Hamas: anch’essa, si dice, una condizione da condannare. Si invoca il loro rilascio “immediato e incondizionato”, e si sottolinea che un cessate il fuoco negoziato sarebbe il mezzo migliore per ottenerlo.

I firmatari arrivano persino a riconoscere l’intento eversivo delle misure amministrative israeliane volte a determinare “modifiche territoriali o demografiche nei Territori palestinesi occupati.” Il piano di colonizzazione dell’area E1, promosso dall’Amministrazione Civile israeliana, qualora attuato, dividerebbe la futura Palestina in due tronconi, violando apertamente il diritto internazionale e compromettendo fatalmente ogni prospettiva di soluzione a due Stati. Anche la Cisgiordania riceve un fugace cenno di riconoscimento, con l’invito a cessare la violenza contro i palestinesi e fermare l’espansione degli insediamenti, “compresa Gerusalemme Est”.

Eppure — come sempre — ciò che colpisce maggiormente di questi proclami è ciò che tacciono. Nessuna misura concreta, incisiva, “dentaruta” — direbbe Nietzsche — viene prevista per porre un freno al trattamento riservato ai civili palestinesi. Si esorta a “uno sforzo comune per porre fine a questo terribile conflitto”. Una promessa mite, innocua, disarmata: si prospetta la possibilità di “ulteriori azioni a sostegno di un cessate il fuoco immediato e di un percorso politico verso la sicurezza e la pace per israeliani, palestinesi e l’intera regione”. Parole inoffensive, anodine. Un codice diplomatico per un possibile riconoscimento dello Stato palestinese? Grottesco, se si considera che si sta annientando con metodo il popolo che dovrebbe abitarlo.

E non è un caso che manchino due firme decisive: quella della Germania — la Germania, che della Shoah ha fatto feticcio morale e paravento geopolitico — e, soprattutto, quella degli Stati Uniti d’America, il custode, il garante, il pioniere evangelico della causa israeliana.

Del resto, l’ambasciatore USA in Israele, Mike Huckabee, ha ben chiarito il tenore delle reazioni di Washington con un post su X: “Che vergogna per una nazione schierarsi con un gruppo terrorista come Hamas e incolpare una nazione i cui civili sono stati massacrati per il solo fatto di voler liberare ostaggi.” E ancora, in un altro post delirante nel tentativo di giustificare l’ingiustificabile, Huckabee assolve Israele in toto: il solo colpevole, per lui, è Hamas. Gli Stati firmatari — dice — “fanno pressione su Israele invece che sui selvaggi di Hamas! Gaza soffre per un solo motivo: Hamas ha respinto OGNI proposta. Incolpare Israele è irrazionale.”

Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar, maestro dell’autosuggestione paranoide, liquida la dichiarazione come si farebbe con le farneticazioni di una vecchia zia rinchiusa in soffitta. “Se Hamas ti applaude, vuol dire che sei nel posto sbagliato.” E il plauso del nemico, per lui, è la prova regina che quei Paesi hanno sbagliato, “alcuni per buonismo, altri per ossessione anti-israeliana.”

E mentre i ministri degli Esteri sfilano nel loro carnevale di principi e retoriche umanitarie, mentre recitano il loro copione di diritto internazionale, le Forze di Difesa Israeliane aprono l’ennesima offensiva su una delle ultime aree di Gaza ancora intatte: Deir al-Balah. Un nodo umanitario cruciale, con personale delle Nazioni Unite ancora presente. Traduzione: altro sangue, altra carneficina, altra distruzione a venire.

Fino a quando Israele non sarà ridotto a ciò che esso stesso sembra voler diventare — uno Stato paria, isolato, delegittimato, assediato — fino a quando il suo esercito non verrà contenuto, la sua economia disarmata, la sua arroganza geopolitica messa all’angolo, l’industria della morte e dello spossessamento continuerà a macinare cadaveri. I palestinesi — superstiti e testimoni — verranno relegati a reliquie di un’angoscia morale impotente, confinati tra le note a piè di pagina della Storia insanguinata, insieme a mille altre dichiarazioni di preoccupazione e a mille altre manifestazioni di un’impotenza che si fa complicità.

* * *

* Macbeth di William Shakespeare, atto V, scena V.

È parte del celebre monologo pronunciato da Macbeth dopo la morte della moglie Lady Macbeth. Il brano completo recita:

“Life’s but a walking shadow, a poor player
That struts and frets his hour upon the stage
And then is heard no more. It is a tale
Told by an idiot, full of sound and fury,
Signifying nothing.”

In italiano:

“La vita non è che un’ombra che cammina, un povero attore
che si pavoneggia e si agita per la sua ora sul palcoscenico
e poi non se ne sente più nulla. È una storia
raccontata da un idiota, piena di strepiti e furia,
che non significa niente.”

È uno dei passaggi più cupi e filosofici di tutta l’opera shakespeariana, simbolo della visione nichilistica e disperata che avvolge Macbeth nel momento della sua caduta.

* * *

Foreign Minister’s Statement (21 July 2025)

We, the signatories listed below, come together with a simple, urgent message: the war in Gaza must end now.

The suffering of civilians in Gaza has reached new depths. The Israeli government’s aid delivery model is dangerous, fuels instability and deprives Gazans of human dignity. We condemn the drip feeding of aid and the inhumane killing of civilians, including children, seeking to meet their most basic needs of water and food. It is horrifying that over 800 Palestinians have been killed while seeking aid. The Israeli Government’s denial of essential humanitarian assistance to the civilian population is unacceptable. Israel must comply with its obligations under international humanitarian law.

The hostages cruelly held captive by Hamas since 7 October 2023 continue to suffer terribly. We condemn their continued detention and call for their immediate and unconditional release. A negotiated ceasefire offers the best hope of bringing them home and ending the agony of their families.

We call on the Israeli government to immediately lift restrictions on the flow of aid and to urgently enable the UN and humanitarian NGOs to do their life saving work safely and effectively.

We call on all parties to protect civilians and uphold the obligations of international humanitarian law. Proposals to remove the Palestinian population into a “humanitarian city” are completely unacceptable. Permanent forced displacement is a violation of international humanitarian law.

We strongly oppose any steps towards territorial or demographic change in the Occupied Palestinian Territories. The E1 settlement plan announced by Israel’s Civil Administration, if implemented, would divide a Palestinian state in two, marking a flagrant breach of international law and critically undermine the two-state solution. Meanwhile, settlement building across the West Bank including East Jerusalem has accelerated while settler violence against Palestinians has soared. This must stop.

We urge the parties and the international community to unite in a common effort to bring this terrible conflict to an end, through an immediate, unconditional and permanent ceasefire. Further bloodshed serves no purpose. We reaffirm our complete support to the efforts of the US, Qatar and Egypt to achieve this.

We are prepared to take further action to support an immediate ceasefire and a political pathway to security and peace for Israelis, Palestinians and the entire region.

This statement has been signed by:

• The Foreign Ministers of Australia, Austria, Belgium, Canada, Denmark, Estonia, Finland, France, Iceland, Ireland, Italy, Japan, Latvia, Lithuania, Luxembourg, The Netherlands, New Zealand, Norway, Poland, Portugal, Slovenia, Spain, Sweden, Switzerland and the UK;
• The EU Commissioner for Equality, Preparedness and Crisis Management

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