Zelensky pensava di avere la situazione in pugno. Aveva ragione. Ma nel peggiore dei sensi
La sua offensiva contro le agenzie anticorruzione ha aperto la porta alla rivolta politica – e reso la sua posizione più debole che mai.
La sua offensiva contro le agenzie anticorruzione ha aperto la porta alla rivolta politica – e reso la sua posizione più debole che mai.
Zelensky ha chiesto, in tono disperato, di incontrare Putin per fermare la guerra immediatamente.
Zelensky stanotte ha lanciato un massiccio attacco di droni direttamente su Mosca. Solo un cretino può fare una cose del genere mentre c’è un dialogo aperto e mentre ha perso irrimediabilmente tutto ciò che c’era da perdere.
Ormai è un classico: i giornaloni scrivono oggi ciò che il Fatto scriveva uno, due, tre anni fa.
Il presidente degli Stati Uniti avrebbe insistito affinché il leader ucraino indice nuove elezioni e, possibilmente, lasci l’incarico.
Volodymyr Zelensky, ha deciso di cambiare copione. Fino a ieri, il presidente ucraino era il fiero guerriero della resistenza, quello che “mai e poi mai” avrebbe trattato con Mosca senza condizioni favorevoli a Kiev. Oggi, invece, scopriamo che è pronto a sedersi al tavolo delle trattative sotto la regia di Donald Trump.
Zelensky confonde “la sua gente” con il battaglione Azov e i suoi sostenitori, e cioè una piccola parte del popolo ucraino, in gran parte residente all’estero.
Trump non manderà più a Zelensky nemmeno le cerbottane in modo che molli l’osso e si metta a trattare la resa seriamente. Si apre una nuova fase.
Anzitutto una rettifica: la comunità di recupero per tossicodipendenti che s’è riunita a Londra sotto le insegne dell’Europa era tutto fuorché europea.
Giorgio Bianchi, fotografo, documentarista, analista, è uno dei migliori reporter italiani. Ma soprattutto, è intellettualmente onesto. Qualità rara, e non solo nella categoria dei giornalisti.
A Bruxelles e Londra continuano a comportarsi come se fosse il solito Trump fanfarone che fa il duro in pubblico per poi rientrare nei ranghi. Stavolta, però, non è così.
Alla fine, è andata esattamente come prevedibile: Volodymyr Zelensky si è rimesso in riga, ha accettato la svendita delle risorse minerarie ucraine agli Stati Uniti e ha persino annunciato che potrebbe dimettersi. Ma solo a una condizione: l’ingresso dell’Ucraina nella NATO.
Il Consigliere per la Sicurezza Nazionale Mike Waltz afferma che Washington vuole un leader a Kiev capace di “trattare con i russi e porre fine a questa guerra”.
di Fabio Mini Devo confessare l’imbarazzo nel commentare la vergognosa rappresentazione tenuta nell’ufficio del più potente presidente del mondo. Imbarazzo che mi ha indotto a verificare l’intero video per capire…
Zelensky resta sospeso tra il voler difendere l’Ucraina e il non poter tradire chi gli ha dato fiducia. Per ora tiene duro, per ora resiste. Ma fino a quando?
La storia americana è piena di presidenti che, anziché dare spettacolo in mondovisione, hanno preferito regolare i conti con mezzi più discreti e letali.
Anziché giubilare per l’ormai prossima, si spera, fine della guerra, l’Unione Europea vuole che la guerra continui e si schiera saldamente dalla parte di Zelensky contro Trump, che nei giorni scorsi lo ha umiliato e sbertucciato in mondovisione.
Guardare l’incontro, non i resoconti: Zelensky ignora il cambio di rotta USA, Trump punta al negoziato con Putin. Il suo tempo sta finendo, e le immagini lo dimostrano.
Nell’appeasement tra lestofanti, l’occidente è diviso e Meloni impotente. Da sempre gli Usa sono imperiali e feroci, solo che Trump lo dice in chiaro. Ho criticato Zelensky, ma non meritava di subire questa umiliazione.
Della scazzottata da saloon alla Casa Bianca sappiamo solo quel che abbiamo visto in mondovisione, non ciò che l’ha scatenata.
Il colloquio alla Casa Bianca tra Zelensky e Trump rappresenta uno di quegli eventi, rari in politica e ancor più rari nelle relazioni internazionali, dove si vede in trasparenza il macchinario all’opera dietro alle recite per il pubblico.
Zelensky contesta Trump sulla strategia per la guerra, ignorando il fallimento militare e il rischio di escalation. L’Ucraina paga il prezzo della sua ostinazione.
Il fine di Trump è lo stesso di Biden, sfruttare e portare a reddito l’Ucraina. Non per caso Trump ieri ha detto “così non si fanno gli affari”.
Zelensky è stato scaricato, l’America tratta con Mosca, l’Europa resta intrappolata nella guerra. Il suo tempo è finito, ma sarà l’Ucraina a pagare il conto.
Il leader del Paese aggredito, finora difeso ad oltranza dall’UE, è stato umiliato da un presidente USA che l’altro giorno ha definito l’Unione Europea come uno strumento nato per truffare l’America.
Scene da saloon davanti al mondo intero. Invece che firmare l’estorsione sulle terre rare, Zelensky ha provato il colpo di scena dettando condizioni nonostante la disfatta. In cambio si è beccato degli sganassoni in mondovisione.
Una scena come il match Trump-Zelensky nello studio ovale a favore di telecamere è un unicum nella storia, figlio dell’Èra Donald che sconvolge non solo la sostanza, ma anche le forme della diplomazia mondiale.
Nuovo medioevo — Scene di caccia e di guerra alla Casa bianca. Davanti a Trump, Zelensky ha cercato disperatamente di difendere le sue ragioni e quelle dell’Ucraina. Ma si è accorto troppo tardi che il famoso accordo sulle terre rare era una trappola per attirarlo a Washington e far rotolare la sua testa sul tavolo del negoziato
Zelensky è stato “accolto”, se così vogliamo dire, da Trump, che lo ha metaforicamente preso a sberle dall’inizio alla fine, rinfacciandogli senza perifrasi edulcoranti tutta la sua nequizia e tutta la sua inutilità politica.
Molti (quasi tutti, ad onor del vero) hanno mancato il punto dell’incontro Trump/Vance-Zelensky.