Come il potere disinnesca la politica
Il conflitto sociale viene frammentato e neutralizzato da false opposizioni simboliche che distraggono dai veri rapporti di potere economico e tecnologico.
Il conflitto sociale viene frammentato e neutralizzato da false opposizioni simboliche che distraggono dai veri rapporti di potere economico e tecnologico.
L’Online Safety Act britannico, nato per proteggere i minori, è sempre più percepito come un’ingerenza dello Stato che limita la libertà di espressione e alimenta timori di censura, sia nel Regno Unito che all’estero.
Il vero genio di Edward Bernays non è stato nell’inventare la propaganda — quella esisteva da secoli — ma nel renderla accettabile alle democrazie, nel farla passare come scienza della libertà.
Mentre prosegue il conflitto con i suoi vicini, lo Stato d’Israele combatte, con eguale e forse maggiore intensità, una seconda guerra: quella dell’immagine. Una guerra culturale, simbolica, persuasiva.
Il NYT nega il genocidio a Gaza: 60.000 morti non bastano. È guerra semantica per legittimare l’orrore e normalizzare l’impunità.
Il sionismo come lutto non elaborato: un’identità costruita sul trauma, incapace di superarlo, che trasforma la difesa in ideologia di morte.
Von der Leyen rischia la sfiducia per il Pfizergate, ma i partiti la proteggono. L’Europa affonda tra scandali, opacità e accuse di “putinismo”.
Putin recita il copione scritto dall’Occidente, mentre l’Europa corre al riarmo e l’Ucraina scompare dalle mappe. Solo la pace può fermare la follia marziale.
Israele ha perso la deterrenza, gli USA l’egemonia: l’illusione della supremazia militare crolla di fronte alla realtà multipolare del Medio Oriente.
La complicità USA nell’attacco all’Iran svela una crisi morale e strategica che avvicina il mondo alla soglia della guerra nucleare.
Scintille durante la puntata di Otto e mezzo, dove si è acceso un vivace confronto tra la conduttrice Lilli Gruber e Marco Travaglio, sulla visione dell’Unione europea e sulle prospettive di una possibile Europa a due velocità, ipotesi avanzata da Corrado Augias.
L’attacco ucraino con droni è una mossa rischiosa, più propaganda che strategia, che ostacola i negoziati e rivela la subalternità dell’Europa.
Guillaume Senez fa film come chi scava in un campo già arato cento volte ma ha ancora il coraggio di pensare che qualcosa lì sotto possa germogliare.
Non tutte le vittime contano allo stesso modo: il dolore è selezionato e raccontato secondo interessi politici. Serve uno sguardo più umano e giusto.
Trump impone dazi insensati, destabilizza l’economia globale e rivela il fallimento di un sistema politico che lascia troppo potere a un solo uomo.
Le tariffe di Trump, giustificate da un’emergenza fittizia, danneggiano economia, consumatori e democrazia, isolando gli USA nel commercio globale.
La libertà si difende riconoscendo l’autoritarismo anche quando parla la nostra lingua. Il potere non ha etichette, solo istinto di conservazione.
La bozza di documento, pubblicata dal Sole 24 Ore, parla chiaro: si tratta di “liberare le potenzialità economiche” dei capitali privati, facilitando il loro spostamento dai conti correnti ai mercati finanziari.
Sarebbe interessante sapere chi ha redatto un simile manifesto dell’arroganza eurocentrica e soprattutto con quale obiettivo.
Avete presente quei film in cui la mafia controlla il casinò e, alla fine, vince sempre la casa? Bene, ora sostituite la mafia con l’Unione Europea e il casinò con le elezioni romene, e il quadro è completo.
L’Europa si disgrega mentre NATO vacilla e l’UE, priva di strategia, si aggrappa alla guerra per giustificare il riarmo. Trump tratta con Mosca, l’Europa resta irrilevante.
È la balcanizzazione della società, un processo in cui una comunità viene spezzettata in fazioni contrapposte, esattamente come è accaduto nei Balcani, dove l’impero ottomano prima e le potenze occidentali poi hanno giocato per secoli sulla divisione etnica e religiosa per impedire la nascita di un’identità nazionale unitaria.
L’UE corre al riarmo senza strategia, spinta dalla paura di Trump e Putin. Più armi, più debito, più affari per l’industria bellica, meno autonomia vera.
Karl Popper ci aveva avvertiti. E non ieri, ma quasi ottant’anni fa. Ne La società aperta e i suoi nemici spiegava che le democrazie muoiono non tanto per l’assalto dei barbari, ma per la manipolazione interna della verità.
Tutti si stracciano le vesti perché Trump sta avvicinando la pace in Ucraina più di quanto abbiano fatto i santoni dell’atlantismo progressista in tre anni di carneficina.
La credibilità si misura nelle scelte, e finora l’unica scelta fatta è stata quella di restare sempre un passo indietro rispetto a chi comanda davvero. Perché chi comanda parla poco, decide molto e non ha bisogno di spiegare ogni giorno a se stesso che esiste.
Com’era prevedibile, Donald Trump torna a giocare la carta dell’isolazionismo strategico, sventolando la minaccia di un ritiro degli Stati Uniti dalla NATO.
Volodymyr Zelensky, ha deciso di cambiare copione. Fino a ieri, il presidente ucraino era il fiero guerriero della resistenza, quello che “mai e poi mai” avrebbe trattato con Mosca senza condizioni favorevoli a Kiev. Oggi, invece, scopriamo che è pronto a sedersi al tavolo delle trattative sotto la regia di Donald Trump.
Se ci fosse ancora bisogno di una prova che l’Unione Europea non è altro che un burattino nelle mani delle élite finanziarie e dell’industria bellica, Ursula Von der Leyen ce l’ha servita su un piatto d’argento.
Il teatrino del bene contro il male non regge più. Gli USA scaricano Zelensky perché la guerra non conviene più. L’Europa, servile con Washington, ora finge autonomia.