Search

Le avventure acquatiche di Steve Zissou | Recensioni

Steve Zissou, è un oceanografo e regista di documentari che è deciso a vendicarsi del terribile squalo che l’ha privato del suo compagno di avventure negli abissi. Come fare? La risposta è semplice: mettere in piedi una bizzarro equipaggio e andare in cerca della pericolosa e misteriosa creatura.
The Life Aquatic with Steve Zissou

Steve Zissou è un famoso oceanografo e documentarista ormai in declino. Il film inizia con la proiezione del suo ultimo documentario, in cui si viene a conoscenza del fatto che, durante la spedizione, un animale mai visto prima e di cui non si vede traccia nella pellicola ha ucciso il suo migliore amico Esteban du Plantier.

Nessuno degli spettatori è disposto a credere all’esistenza dello “squalo-giaguaro” – come l’ha battezzato Steve –, di conseguenza egli non riesce a trovare nessuno che voglia finanziare la nuova spedizione alla caccia dell’animale. In questa situazione di crisi fa la conoscenza di Ned Plimpton, un tranquillo ragazzo del Sud, che dice di essere probabilmente suo figlio. Steve chiede a Ned di unirsi al suo equipaggio a bordo della sua nave, la Belafonte.

Poco dopo, venuto a conoscenza delle cattive condizioni economiche in cui versa suo padre, Ned metterà a completa disposizione di Steve la sua eredità lasciatagli dalla madre morta. Il viaggio viene documentato da una giornalista, Jane, che ha l’obbiettivo di scrivere un pezzo sulla vita di Steve.

La spedizione ha inizio con il furto di materiale nautico da una base marina di Alistar Hennessey, collega e rivale di Steve, mentre sia Steve che Ned iniziano a mostrare interesse romantico per la giornalista, incinta da una relazione incerta con un uomo sposato.

Il gruppo ritrova una scatola nera di un aereo precipitato nell’oceano, e Ned inizia ad avere una relazione con Jane. Poco dopo il gruppo viene attaccato da pirati che Steve riesce a mettere in fuga durante una sparatoria, ma che rapiscono un assistente della casa di produzione del film. Con la nave in fiamme e senza carburante, Hennessey si reca in aiuto di Steve, che tuttavia è costretto a ricorrere all’aiuto finanziario di sua moglie Eleanor, con la quale aveva precedentemente litigato, per pagare il costoso conto del salvataggio. Nel frattempo il rapporto tra Steve e Ned si stringe e i due diventano molto uniti, nonostante i dubbi dell’equipaggio che non vede di buon occhio la presenza di Ned.

La squadra decide di salvare l’assistente della casa di produzione, e recandosi sull’isola dove i pirati hanno portato l’assistente scoprono che anche lo stesso Hennessey è stato attaccato e la nave distrutta. Durante una sparatoria, il gruppo riesce a salvare sia Hennessey che l’assistente, e i due si uniscono all’equipaggio per il resto della spedizione. Il gruppo inizia ad apprezzare Ned per il suo valore e a considerarlo un membro dell’equipaggio, tuttavia, durante una spedizione con l’elicottero, un incidente aereo uccide Ned, che viene sepolto in mare.

Il team alla fine intercetta il leggendario squalo tigre, ma Steve decide di non ucciderlo. Il documentario è un grandissimo successo, e questo dà lo stimolo a Steve di ripartire per nuove avventure marittime assieme alla sua squadra e ai nuovi aggiunti.

* * *

Corriere della Sera (5/3/2005)
Maurizio Porro

Sarà venuto così bene per caso I Tenenbaum? Fatto è che il nuovo film (non montato?) di Wes Anderson è deludente e molesto e noioso come gli ubriachi oltre ad essere ambizioso, intellettualistico, insopportabilmente trendy e piatto. Si tratta di inseguire, con zig zag esistenziali, anche sottomarini, i dilemmi edipici e i percorsi acquatici del regista-oceanografo Bill Murray che cerca la sua Moby Dick. La vita gli gira intorno con lo spirito di gruppo caro all’autore, i suoi personaggi sbilenchi come il naso di Owen Wilson. Anjelica Huston è fra quelle che si trovano gli zigomi in fronte, entrando talvolta in un film che non monta mai, non è prosa né poesia. Tante ambizioni, poi in primo piano c’è la bottiglia dell’aperitivo. Aiuto.

* * *

il Manifesto (4/3/2005)
Roberto Silvestri

Acqua, ovvero avventura, ovvero apocalisse. Una tragedia fiabesca s’inabissa, come un batiscafo, in una love story cinefila, alla maniera degli anni 60. Clima I 7 uomini d’oro. Il texano Wes Anderson, nichilista delicato (Rushmore, Tenenbaums) questa volta firma un’opera meno claustrofobica, anzi sorprendentemente solare. Le avventure acquatiche di Steve Zissou, storia di una vendetta marina, protagonista un Achab filmaker, un po’ più triste, dei tempi nostri. È Bill Murray, disincantato, stanco, ma determinato, anche nell’allungare le mani con le donne. Uno squalo giaguaro, gigantesco, gli uccise l’amico. E lui non riuscì nemmeno a inquadrarlo, quel gigante degli oceani, perché, nella foga, gli si ruppe la cinepresa. Dopo il film, ovvio, un fiasco, e quella tragedia indelebile, l’oceanografo-regista degli abissi, con il suo gruppo multietnico di eccentrici dell’avventura (il silenzioso dottore russo Noah Taylor; Bud Cort, il ragazzino necrofilo di Harold & Maude; il suo vice tedesco Willem Dafoe…), che assomiglia molto di più a un set di John Huston che all’equipe di Piero Angela, lascia una scettica Roma. E va a cercare il mostro assassino per i sette mari, cioè lascia Cinecittà per Ravello e Ponza, E la nave va per L’avventura, con il panfilo-biblioteca-laboratorio di pre e post-produzione. Questo novello Jacques Cousteau, sfidando un concorrente tecnologico e finanziariamente più solido (Jeff Goldblum), l’assenza di budget, i feroci pirati delle Filippine, e la presenza inquietante di una reporter ingombrante e incinta come Cate Blanchett, di un figlio-forse-figlio manifestatosi dal nulla (Owen Wilson, abituale cosceneggiatore, qui no), di un cane fedele a tre zampe, di un hotel sperduto nel pacifico, di una moglie ingombrante, ricca ma diffidente (Anjelica Huston), porta il suo gruppo, dalle divise bianco-azzurre ideate da Milena Canonero, e dalle mute grigio-nere, come fossero uomini dello spazio di Antonio Margheriti, alla sopravvivenza e alla vittoria: cattureranno, con le immagini, il loro storico nemico. Il film di Wes, non di Bill/Zissou, potrà anche non «funzionare» fino a quel momento (al box office Usa non ha funzionato) nel rapporto emozione/pop corn, ma dopo lascia a bocca aperta… «Armeno» per ricamo di scrittura (di Noah Baumbach), bizantino nell’umorismo, sorprendente nella colonna sonora che rende acustico e carioca il glam rock di David Bowie, merito di «Pelè», ovvero del cantante brasiliano Seu Jorge, dal decor provocatorio e godardiano, come L’idolo delle donne di Jerry Lewis, quando eliminava – delirio del voyeur – le pareti delle camere delle ragazze (come qui si «apre» l’interno del piroscafo), approssimativo e demenziale, ma, sempre come avveniva nel Ciarlatano di Jerry Lewis, quando si passava alle scene d’azione, il film ha un finale incantato, stupito, senza parole, con quegli effetti speciali dei pesci giganti o «elettrici» che danno la chiave di tutto il film che abbiamo visto, non senza un certo spaesamento, fino a quel punto. Il segreto? Anderson è riuscito a travestire da esseri umani i cartoni animati, come se Disney e Miyazaki avessero trovato i muscoli, la carne e il sangue adatti per incarnare i loro esseri-non esseri di carta in cerca di animazione (aria-terra-acqua) a tutto tondo. Nel cinema «più che parlato», così demodé, il texano Wes Anderson è un asso come Kusturica, di cui condivide la passione per l’immaginario urlato, stipato, di gruppo, radiante, e pessimista sullo stato delle cose (il volto disfatto di Bill Murray, non fosse che per il filo di grinta dato da un alcoolismo metafisico, degno di C. W. Fields, ne è la sintesi perfetta). Ma il film cerca di far riemergere anche l’infantile agguerrito nell’adulto fragile. È interno ai generi hollywoodiani questo, come al clima «nuova onda» cerca quello. E intrattiene contatti intimi con il patrimonio iconografico del passato, convincendoci che cinema è avventura antinaturalista, un’apertura acustica alle fessure delle cose e ai suoni che saltano all’occhio. Guarda, Anderson, più alla grande commedia triste e seria, da Yellow Submarine a Fields e a Lewis di cui saccheggia quasi tutto: il tono, la prensilità dello sguardo, le scenografie di The Ladie’s Man, il gusto per i colori assoluti e timbrici, da technicolor anni ’60, la passione per l’avventura assurda (Il Ciarlatano) e per il più infinitesimale dettaglio nel gesto «slabbrato e per un momento sfocato», nel dialogo, nella sottolineatura di un oggetto o di un suono fuori campo. Dedicato a Cousteau, e ai suoi viaggi negli abissi, di Verne incorpora Venti mila leghe sotto i mari, versione Méliès e Fleischer, e di Huston, oltre a Anjelica, la disperazione, racchiusa nelle imprese umane senza senso, ma che sa sorridere della bellezza e della sofferenza del mondo.

* * *

Film TV (8/3/2005)
Enrico Magrelli

Le acque cinematografiche sono sinonimo, tra l’altro, di deriva, caccia, ammutinamento, fuga, esplorazione, tempeste perfette e imperfette. A Wes Anderson interessano alcune di queste potenzialità geografiche e simboliche e nel suo film (il quarto di una carriera fertile ed eccentrica) imbarca la sua corale su una nave-alveare che porta tutti i segni delle onde anomale, della salsedine, dei peripli, degli sbuffi della rosa dei venti. Il capociurma e il capocomico del team di randagi che solca i sette mari è l’arrogante ed egocentrico Steve Zissou (un superbo Bill Murray), esploratore subacqueo, oceano-grafo, regista di documentari. Come sempre nei film andersoniani la sua identità, liquida come quella di tutti gli altri personaggi, lo porta ad essere un marito e un padre incompiuto. L’ultima avventura per trovare lo squalo giaguaro che ha ucciso Esteban, il migliore amico del protagonista, ha la malinconia dell’ultima possibilità, dell’ultimo ciak, dell’ultima volta, dell’ultima messa in scena. Steve e la moglie Eleanor (Huston), la giornalista Jane (Blanchett) e Ned (Wilson), copilota dell’Air Kentucky, che arriva dal passato e potrebbe essere e non essere il figlio di Steve, il consulente finanziario (un Bud Cort che porta i segni dell’attore che è partito negli anni 70) e gli altri caratteri anomali, che sono, nello stesso tempo, marinai e tecnici (quante volte ci hanno spiegato che girare un film può essere un viaggio) formano un bestiario antropologico da acquario della vita. Sotto le onde, in una busta di plastica o sulla spiaggia nuotano e si muovono i fragolini fluorescenti, il cavalluccio iridato, i granchi caramellati, i delfini albini, il diamantino pinna blu. Ittiologia fiabesca per un intreccio disarticolato e per personaggi spostati di alcuni millimetri rispetto all’asse terrestre. Questa volta la commedia degli affetti di Wes Anderson, che è una specializzazione sofisticatissima della commedia sentimentale e intellettuale, si allontana dalla terraferma e dalle leggi di gravità. Tra fusibili che saltano, pirati all’arrembaggio, nascituri che ascoltano letture proustiane, maree interiori che salgono e scendono nello stesso modo da millenni, mentori irresistibili e inaffidabili, intelligenze in apnea, fallimenti da fondo marino, aspirazioni e approcci goffi, colpe che lasciano scie d’acqua. Le vedi per qualche secondo prima che il mare se le riprenda e le nasconda.

* * *

la Repubblica (11/3/2005)
Roberto Nepoti

Agli antipodi delle produzioni hollywoodiane correnti, Wes Anderson è regista di film un po’ folli (I Tenenbaum) e anarchici, dove personaggi, forme e colori non hanno nulla di realistico. Per alcuni il suo cinema è già oggetto di culto; altri lo detestano. Il soggetto delle Avventure acquatiche di Steve Zissou è bizzarro: anche se, nell’innesco, fa venire in mente “Moby Dick”. Achab megalomane e depressivo, l’oceanologo Steve Zissou va alla ricerca dello squalo-giaguaro che si è divorato il suo migliore amico. Con lui s’imbarcano la sofisticata moglie (Anjelica Huston), il presunto figlio naturale, appena incontrato (Owen Wilson), una giornalista incinta (Cate Blanchett) e l’equipaggio di sempre. Oltre allo spettatore, che viene introdotto in un universo differente da tutti gli altri e retto da regole proprie, dove vivono creature da bestiario fantastico (squali luminescenti, diamantini dalla pinna blu, granchi caramello) e imperversano pirati malesi ninja assurdamente inefficienti. Wes, insomma, costruisce un mondo a propria immagine e lo popola di “caratteri” liberi da ogni convenzione di verosimiglianza, ma perfetti per le sequenze surrealiste che si sgranano sullo schermo. Al risultato è essenziale il contributo iconografico: dai costumi (di Milena Canonero) ai sottomarini gialli e ai batiscafi di cui è equipaggiata la nave Calipso. Divertenti, e un po’ crudeli (i pietosi film sottomarini realizzati da Zissou), i riferimenti ai documentari del comandante Cousteau.

* * *

l’Unità (4/3/2005)
Alberto Crespi

Per amare Le avventure acquatiche di Steve Zissou bisogna, nell’ordine: aver visto I Tenenbaum, precedente film del giovane Wes Anderson; sapere chi era Jacques-Yves Cousteau (1910-1997), grande naturalista/oceanografo/cineasta divenuto mitico anche in Italia tra gli anni ’60 e 70; apprezzare i cartoni animati, anche quando sono un po’ più stupidelli (non sempre accade) del cinema «dal vero». Lo Steve Zissou inventato da Wes Anderson è infatti un personaggio «alla Cousteau», un esploratore che realizza documentari sul mare assieme a una sgangheratissima troupe imbarcata su una nave-laboratorio. All’inizio del film, Zissou (un lunare, strepitoso Bill Murray) è in Italia, in un festival presso Napoli, dove presenta un film sulla morte di un suo amico e collaboratore ucciso da un ferocissimo squalo-giaguaro (il direttore del festival è interpretato, in un cammeo azzeccatissimo, dal collega Antonio Monda, critico e «ambasciatore» del nostro cinema in quel di New York). Il resto del film è la caccia allo squalo-giaguaro… che ovviamente non esiste, e quando lo vediamo è disegnato, sorta di versione infantile e parodistica del melvilliano Moby Dick. Nello stile, il film è molto simile ai Tenenbaum, ma non ne ha lo spessore: è lieve come una barzelletta, di un finto ingenuo in realtà adorabilmente snob. È una gioia per gli occhi e per le orecchie (stupenda la colonna sonora con David Bowie cantato in portoghese), ma scorre via come acqua fresca. Nel cast anche Anjelica Huston, Cate Blanchett, Owen Wilson, Jeff Goldblum e Willem Dafoe.

SHARE THIS ARTICLE

Read More

Kung Fu Panda 4

Kung Fu Panda 4 | Review

While Disney is experiencing perhaps the most difficult period in its history, and while auteur animation is making more than one hit and bringing home successes and Oscars, DreamWorks reminds us that a third way is still possible.

Weekly Magazine

Get the best articles once a week directly to your inbox!